La storia di “Ba-ta-clan”, il primo grande successo di Offenbach
I terribili attentati terroristici del 2015 di cui è stata purtroppo protagonista Parigi hanno fatto parlare parecchio della sala da spettacolo Bataclan. Questo nome è indissolubilmente legato al mondo dell’opera lirica, per la precisione dell’operetta francese e approfondire la sua storia vuole essere un timido omaggio alle vittime innocenti di quella giornata di novembre ormai lontana. Il teatro è stato chiamato in questa maniera in onore del primo grande successo in assoluto di Jacques Offenbach: la sua genesi ha dunque un certo fascino e vale la pena approfondirla. Prima di questa affermazione il compositore di Colonia poteva vantare dodici lavori all’attivo, ma soltanto uno, “Pépito” (datato 1853), era degno di nota.
Il 15 novembre del 1855 si concluse l’Esposizione Universale di Parigi e in quel freddo mese invernale la gente pretese teatri in cui non vi fossero troppi spifferi, uno dei principali difetti del Bouffes-Parisiens. Per questo motivo il 29 dicembre successivo fu inaugurata la Salle d’Hiver del teatro proprio con “Ba-ta-clan”, cineseria musicale (come veniva definita all’epoca) il cui libretto fu affidato a Ludovic Halévy. Si trattava di una sorta di parodia dell’opera italiana, del linguaggio utilizzato in Cina e, anche se in misura minore, della musica di Meyerbeer. Il titolo è la presa in giro di una parola molto frequente nei libretti, Rataplan, usata per dare l’impressione del rumore dei tamburi.
Offenbach affrontò, non senza fastidio, le restrizioni imposte da un editto napoleonico del 1807, in base al quale per quelle rappresentazioni potevano essere ammessi non più di quattro personaggi. I nomi dei protagonisti sono a dir poco stravaganti: i due tenori si chiamano Fé-ni-han (re di Ché-i-no-or) e Ké-ki-ka-ko, senza dimenticare il baritono Ko-ko-ri-ko (capitano delle guardie) e il soprano, Fé-an-nich-ton. Sono previsti anche due cospiratori (tenori). La trama è presto detta, due francesi espatriati a Ché-i-no-or, un regno lontano e sperduto in cui si parla cinese, si lasciano coinvolgere da un complotto ordito contro il sovrano. Dopo diverse difficoltà, soprattutto dal punto di vista comunicativo, le danze e i canti rivoluzionari riescono a far concludere in maniera positiva la vicenda.
Il cast della prèmiere era composto da Étienne Pradeau, fresco del successo fenomenale ottenuto pochi mesi prima in “Les Deux Aveugles”, Jean Berthelier, Guyot e Dalmont. C’è una testimonianza diretta di quella serata, quella del critico musicale Jules Janin, secondo cui gli spettatori risero di gusto dall’inizio alla fine, applaudendo e gridando addirittura al miracolo. L’operetta andrò dritta al cuore dei parigini, al punto che bastarono poche settimane di attesa per veder nascere il primo cafè-concert ribattezzato “Bataclan”: non è la music-hall salita tristemente agli onori della ribalta, inaugurata nel 1864, dunque nove anni dopo la prima rappresentazione, ma è la chiara testimonianza del trionfo di quella che doveva essere una semplice e divertente composizione.
La maggior parte di questi atti unici si presentava essenzialmente senza pretese, più precisamente nella veste di semplici farse sentimentali o racconti bucolici. “Ba-ta-clan” aggiunse invece un elemento nuovo, vale a dire il fatto che i personaggi cinesi finivano per diventare dei parigini a tutti gli effetti: non a caso Offenbach decise di inserire un grazioso valzer nel suo lavoro per celebrare i balli che impazzavano in quel periodo nella “ville lumière”, una soluzione musicale che il musicista naturalizzato francese aggiungeva ogni volta che gli era consentito. Geniale, poi, fu il “duetto italiano”, in cui il regicidio si trasforma magicamente in una scena tipicamente belliniana.
“Ba-ta-clan” doveva essere solamente la prima di tante operette che avrebbero caratterizzato la sala invernale del Bouffes-Parisiens. Il genere sarebbe diventato predominante nei mesi più freddi e inoltre l’impresario aveva intenzione di mietere un successo dopo l’altro per ripianare le non certo esigue spese di ristrutturazione (circa 80mila franchi dell’epoca). Offenbach era senza dubbio il dominatore incontrastato dell’operetta, ma non avrebbe potuto fornire tutti i lavori necessari, si cercarono quindi soluzioni alternative, come ad esempio i concorsi per la realizzazione di atti unici su libretti di Halévy. Quale fu il destino della cineseria musicale dopo il grande successo della prèmiere?
Gli anni immediatamente successivi furono altrettanto positivi, però in seguito il titolo non è riuscito a conquistare una posizione stabile nel repertorio dei teatri francesi e mondiali. Tra le registrazioni “moderne” più interessanti si possono citare due esempi interessanti. Nel 1966 la direzione d’orchestra di Marcel Couraud accompagnò le voci di Huguette Boulangeot, Raymond Amade, Rémy Corazza e René Terrasson. Vent’anni dopo è stata la volta di una registrazione con Dominique Debart come direttore d’orchestra e Maryse Castet, Vincent Vittoz, Bernard van der Meersch e Michel Hubert nei quattro ruoli principali.