“La muta di Portici” e l’inno della rivoluzione belga che oscurò la Marsigliese
Fà a muta ‘e Puortece: chi è di Napoli avrà sentito spesso questa frase, ma cosa significa esattamente “fare la muta di Portici”? Di solito l’espressione indica una persona che non si vuole esprimere su un argomento e lo spunto è venuto da un’opera lirica del compositore francese Daniel François Esprit Auber che risale al 1828. Si tratta di un grand opèra in cinque atti su libretto di Eugène Scribe, un lavoro che viene proposto raramente in Italia, ma che all’estero è ancora molto popolare, soprattutto in paesi in cui si farebbe fatica a credere una passione tanto forte. In effetti, “La muette de Portici” (letteralmente “La piccola muta di Portici) narra la vicenda storica della rivoluzione napoletana del 1647 e quella personale del pescatore Masaniello.
La prèmiere del 28 febbraio 1828 all’Opèra di Parigi è stata praticamente messa in disparte da una rappresentazione di due anni dopo, una serata che tutti i belgi conoscono alla perfezione. Si sta infatti parlando della prima rappresentazione de “La muta di Portici” al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles il 25 agosto 1830. La storia di Masaniello, di sua sorella Fenella (il ruolo muto del titolo, una sorta di paladina di tutti coloro che non possono far sentire la propria voce) e della dominazione spagnola a Napoli appassionò a tal punto gli spettatori da far collocare in questo preciso momento l’inizio dell’insurrezione belga contro il dominio olandese e la successiva proclamazione dell’indipendenza.
Fu soprattutto un’aria a conquistare il pubblico, il duetto del secondo atto che coinvolge Masaniello e il sodale Pietro, meglio noto come Amour sacré de la patrie. Ecco il testo che impressionò così tanto il popolo belga:
Amour sacré de la patrie,
Rends nous l’audace et la fierté ;
À mon pays je dois la vie ;
Il me devra sa liberté.
La traduzione è presto detta: “Sacro amore della patria, donaci audacia e fierezza; al mio paese devo la vita, mi renderà la sua libertà“. In realtà questo duetto era piaciuto sia in Francia che in tutti gli altri paesi in cui l’opera era stata rappresentata, tanto da diventare addirittura più popolare della Marsigliese, il celebre inno transalpino.
L’intero teatro di Bruxelles fu in fibrillazione e ogni singolo spettatore si galvanizzò urlando a pieni polmoni. Nel terzo atto il tenore Jean-François Lafeuillade intonò All’armi! nel momento stesso in cui il pubblico era già pronto per imbracciarle realmente. Una volta terminata l’opera, i belgi si affollarono all’esterno, sventolando il tricolore nero, giallo e rosso e raggiungendo gli uffici del giornale pro-orangista Le National, saccheggiandoli e prendendo poi possesso dell’appartamento del commissario di polizia. La rivoluzione dilagò nei mesi successivi e il 4 ottobre 1830 ci fu la proclamazione ufficiale dell’indipendenza del paese.
Raramente un’opera lirica è riuscita a influenzare il corso degli avvenimenti storici come ci è riuscita “La muta di Portici”. I cinque atti di Scribe e Auber rappresentarono il catalizzatore di un formidabile entusiasmo popolare, senza il quale i belgi non sarebbero probabilmente riusciti a ribellarsi al dominio olandese. A dire il vero, comunque, la trama della composizione lancia una serie di ammonimenti contro chi voglia rovesciare i sovrani legittimi, strizzando allo stesso tempo l’occhio ai moti rivoluzionari, come ben dimostrato dal duetto tra Pietro e Masaniello. Quasi tutti in Belgio hanno sentito parlare de “La muta di Portici”, ma in pochi vi hanno assistito di persona.
Molti bambini hanno imparato a scuola alcuni brani dell’opera di Auber, ma negli ultimi anni si è deciso di evitare le rappresentazioni a Bruxelles. La recente scelta del Théâtre Royal de la Monnaie di allestire una nuova produzione a Parigi ha fatto storcere il naso a più di una persona e secondo alcuni il momento non è stato quello più appropriato, in quanto si dovrebbe risolvere prima la questione dell’esistenza o meno del Belgio. Nella capitale belga non sarebbe stato possibile, anzi il risultato finale sarebbe stato controproducente a causa delle tensioni crescenti tra i valloni e i fiamminghi.
Tra l’altro, non sono pochi gli storici che hanno ridimensionato l’episodio del 1830 e dell’opera di Auber come fattore determinante per l’insurrezione. Sarebbero stati altri elementi a innescarla, nello specifico la fame che stava attanagliando il popolo in seguito a un pessimo raccolto e l’esempio non lontano nel tempo della Francia, un modello da imitare a 41 anni di distanza. Il ruolo della musica non deve però essere dimenticato, se è vero come è vero che anche un apprezzato saggista come Geert van Istendael ha riconosciuto l’importanza della serata al Monnaie: “In ogni caso, quella sera a un buon numero di giovani borghesi montò il sangue alla testa“.