Giuseppe Persiani alla conquista del Covent Garden: i 4 mesi della Royal Italian Opera
Il nome di Giuseppe Persiani, da non confondere con l’omonimo compositore abruzzese di circa trent’anni più giovane, è legato al successo dell’opera “Ines de Castro” e al matrimonio col celebre soprano Fanny Tacchinardi (prima interprete, tra le altre cose, della “Lucia di Lammermoor” di Donizetti). Meno nota e quasi dimenticata, invece, è una sua curiosa e sfortunata esperienza come impresario teatrale niente meno che a Londra. La carriera del musicista recanatese si era conclusa nel 1846 con l’insuccesso del suo ultimo melodramma, “L’orfana savoiarda”, imposto dalla stessa Tacchinardi alla direzione del Teatro del Circo di Madrid.
Per questo motivo Persiani intraprese una nuova carriera, appunto quella di impresario. Nel 1845 Alessandro Lanari si convinse della necessità di formare una seconda compagnia operistica italiana a Londra: Persiani venne a sapere di questo progetto da un tale Galletti, il quale si propose come partner commerciale e persuase il compositore ad avventurarsi in territorio britannico. Quello che oggi conosciamo come Covent Garden era stato fondato nel 1732 come Her Majesty’s Opera House e dopo una prima ricostruzione avvenuta nel 1809 non era più utilizzato come teatro da almeno tre anni. L’idea originale, comunque, fu quella di puntare sull’opera buffa e su un altro edificio, il Saint James’ Theatre.
Il progetto iniziale cambiò però ben presto e Persiani riuscì a formare una società con Michele Costa, colui che era stato definito da Meyerbeer “il miglior direttore d’orchestra del mondo”. La banca Rothschild concesse una linea di credito da 35mila sterline dell’epoca, aumentata fino a 45mila. Tutto era pronto per far partire l’impresa. Il critico musicale Charles Gruneisen annunciò il 21 agosto 1846 che il Covent Garden sarebbe stato affittato per rappresentazioni operistiche italiane sul Morning Chronicle, quello che diventò a tutti gli effetti l’organo semiffuciale di stampa della nuova compagnia teatrale.
L’obiettivo era quello di contendere il primato londinese al potente Benjamin Lumley, impresario dell’Her Majesty’s. Il Covent Garden fu ribattezzato per l’occasione “Royal Italian Opera” e l’inaugurazione ufficiale si ebbe il 6 aprile del 1847. Nel corso di quella serata fu rappresenta con successo la “Semiramide” di Gioachino Rossini: la compagnia “La Vieille Garde” era costituita dalla moglie di Persiani, Fanny Tacchinardi, da Giulia Grisi, il tenore Giovanni Matteo De Candia, il baritono Antonio Tamburini e Michele Costa come direttore d’orchestra. Lumley puntò sulla tradizione belcantistica del nostro paese e sulla voce di Jenny Lind, soprano noto come “usignolo svedese”.
Fu proprio in questo periodo che Giuseppe Verdi sbarcò per la prima volta all’estero per la prèmiere di una sua opera: Lumley garantì la prima assoluta de “I Masnadieri” il 22 luglio 1847. La stagione concorrente proposta da Persiani con il Covent Garden cercò di resistere e durò fino al successivo mese di agosto, ma il bilancio finale fu tragico. Il deficit finanziario fu quantificato in ben 24mila sterline, dunque oltre la metà della linea di credito messa a disposizione dalla banca. Persiani perse quindi molti dei suoi risparmi, l’unica scelta che gli rimase fu quella di abbandonare la Royal Italian Opera e tornare a Parigi con la moglie Fanny.
I due contrassero debiti molto pesanti ed è significativo ricordare che furono costretti a girare in diversi paesi europei fino al 1859 (dunque per oltre dieci anni) e proporre musica e canto per saldare tutto e rimettere in sesto il patrimonio. Va comunque ricordato che il compositore marchigiano fu almeno in “buona compagnia” per quel che riguarda le disavventure economiche. Le sterline perse, come già accennato, furono 24mila, mentre le sottoscrizioni superarono di poco le 55mila sterline dell’epoca. A rimetterci parecchio fu un certo Frederick Beale, pianista e socio della casa editrice che promosse il progetto italiano, la Cramer, Beale & Chappell.
Questa compagnia era attiva nella vendita di spartiti musicali e pianoforti e cercò di speculare sulla vendita dei biglietti d’opera. Beale ottenne soltanto un ottavo dei profitti della Royal Italian Opera e venne ritenuto parzialmente responsabile dei debiti contratti dalla compagnia teatrale. In poche parole, l’idea poteva essere vincente e ambiziosa, ma durò appena quattro mesi, giusto il tempo di capire che scalfire la leadership dell’Her Majesty’s Theatre era in quel momento storico impossibile. Soltanto nove anni dopo il Covent Garden andò distrutto a causa di un incendio e rimpiazzato da quella che è la struttura che possiamo ammirare oggi: diventerà ufficialmente Royal Opera House nel 1892.