Lo strano caso di Stefano Gobatti
Sono passati più di cento anni dalla morte di Stefano Gobatti: il nome potrà forse non dire nulla a molte persone, ma si tratta di un compositore che conobbe un grandissimo successo al suo debutto operistico nel 1873. Il suo è quello che viene definito un “caso clamoroso”, come fu possibile una infatuazione collettiva tanto grande nei suoi confronti salvo poi dimenticarsene altrettanto in fretta? Lo si può ricordare anche e soprattutto per la sua seconda fatica, il melodramma lirico in cinque atti Luce (26 novembre 1875). Fu proprio da questo momento che cominciò inesorabile il declino del musicista veneto.
Nato a Bergantino (provincia di Rovigo) nel 1852 i suoi primi interessi furono rivolti all’ingegneria, ma gli studi furono abbandonati presto per dedicare ogni attenzione alla musica. I maestri più importanti furono senza dubbio Alessandro Busi (molto stimato da Rossini) a Bologna e Lauro Rossi a Napoli, senza dimenticare il contributo alla sua formazione offerto dalla città di Parma. L’esordio non tardò molto. È il 1873 e Gobatti è un giovane promettente che ha la possibilità di rappresentare il suo primo melodramma al Teatro Comunale di Bologna. Si tratta de I Goti, un lavoro che attirò notevoli attenzioni.
Fu proprio questa prèmiere a farlo diventare famoso. Il successo fu innegabile, con ben cinquantuno chiamate in palcoscenico e una inevitabile contrapposizione a Giuseppe Verdi. Si scomodò persino Giosué Carducci per acclamarlo come nuovo astro della musica. Ma bisogna andare più a fondo e capire a chi andarono quegli applausi, alle note del nuovo compositore o a quello che rappresentava. L’entusiasmo, infatti, fu dovuto soprattutto alla rivalità che divideva in quegli anni Settanta dell’800 Milano e Bologna. Una rivalità di tipo culturale, con la città felsinea che divenne in rapido tempo il simbolo del contrasto a Verdi, alla Scala e del sostegno alla musica di Wagner.
Le conseguenze di tutto ciò sono facilmente immaginabili. Il delirio del pubblico convinse il Comune di Bologna a tributargli addirittura la cittadinanza onoraria, fino a quel momento riservata soltanto a Verdi e Wagner. La prima dei Goti ebbe luogo il 30 novembre del 1873 (dunque 140 anni fa) e già l’8 dicembre successivo la giunta bolognese motivò in questa maniera la sua scelta:
Pare all’assessore Albicini che se la paternità musicale del giovane maestro non spetta a Bologna, fu veramente un maestro bolognese che gl’insegnò i primi rudimenti dell’arte, e fu nelle scene del Comunale che egli riportò lo splendido trionfo del suo primo lavoro; crede quindi conveniente anche per esaudire l’impegno preso in Consiglio e incoraggiare il Gobatti a continuare la carriera si bene incominciata, che il Comune debba tributargli questa distinzione onorifica. I Signori Assessori Tacconi e Berti propongono di sottoporre al Consiglio la nomina a cittadino onorario, e questa proposta,messa ai voti è dalla Giunta unanimemente approvata.
La fortuna finì però rapidamente. Alcuni critici, come ad esempio Filippi e D’Arcais, non apprezzarono l’opera e lo stesso Giuseppe Verdi non usò mezzi termini nel definirla un “aborto musicale”. I Goti furono rappresentati anche a Roma, Parma, Torino, Genova e Firenze, ma il successo non fu più lo stesso, tanto è vero che nel 1899 il pubblico accolse il melodramma nella più completa indifferenza. Qualche crepa poteva essere intravista in anticipo, in particolare il libretto (curato da Stefano Interdonato), fin troppo ricco di profezie, maledizioni e riferimenti, ma anche la stessa musica, in alcuni tratti affannosa e povera, con dei cori deboli e poco incisivi. Già con il secondo lavoro, Luce, il trionfo non venne bissato, un discorso che vale anche per i tentativi successivi.
Ad esempio, Cordelia (rappresentata sempre al Comunale di Bologna nel 1881) è pressochè sconosciuta, per non parlare dell’inedita Masias. La sfortuna cominciò a perseguitare Gobatti: i debiti diventarono sempre più insostenibili, in pochi si ricordarono di lui, senza dimenticare le incredibili dicerie e le voci secondo cui fosse uno iettatore. Le uniche soddisfazioni, se così possiamo chiamarle, furono quelle relative all’insegnamento del canto nelle scuole elementari. In seguito decise di ritirarsi in convento, una scelta estrema ma necessaria visto quello che gli stava riservando la vita. Venne accolto dall’Istituto Rizzoli di Bologna ed è qui che perse la ragione a causa di una nevrite, per poi morire, nel 1913, a sessantuno anni.