Giovanni David, il tenore che divideva il pubblico coi suoi falsetti e falsettoni
Il primo vero tenore, capace di mettere tutto il suo genio nel canto. Stendhal era un grande appassionato d’opera e i suoi giudizi sui cantanti che riuscì ad ascoltare sono delle preziose testimonianze sul melodramma nel periodo compreso tra il ‘700 e l’800. Queste parole sono state messe nero su bianco per valutare le performance di Giovanni David (o Davide), tenore vissuto tra il 1790 e il 1868 e famoso per aver creato molti ruoli rossiniani. Viene considerato ancora oggi il prototipo del tenore contraltino, adatto alle opere del compositore marchigiano, acuto e brillante oltre che improvvisatore. I falsetti e i falsettoni che eseguiva di continuo dividevano il pubblico. Lo stesso Stendhal adorava questo cantante, ma non mancavano gli spettatori insofferenti. La musica entrò a far parte della sua vita fin da subito, dato che suo padre era niente di meno che un altro tenore tra i più virtuosi del suo tempo. Si sta parlando di Giacomo David, anch’esso lodato dallo scrittore francese e grande fonte di ispirazione per il figlio Giovanni.
Quest’ultimo nacque il 15 ottobre del 1790 a Napoli e gli insegnamenti di un padre tanto famoso garantirono un esordio precoce. Il debutto di David II risale al 1808, quando aveva appena 18 anni. Andò sul palco proprio con il genitore: A Siena fu rappresentato il dramma per musica “Adelaide di Guesclino” di Giovanni Simore Mayr ed entrambi riuscirono a impressionare il pubblico. L’affermazione definitiva, però, arrivò due anni dopo. A Brescia il giovane Giovanni si impose grazie al grande carisma e attirò l’attenzione di teatri molto più prestigiosi. Nel 1814 iniziò la collaborazione con La Scala e si distinse contemporaneamente al San Carlo di Napoli. “Otello” fu la prima opera rossiniana in cui creò un ruolo, appunto quello del protagonista del titolo. Il musicista pesarese scrisse la musica appositamente per David. Dopo questa prèmiere seguirono “Riccardo e Zoraide”, “Ermione” e “La donna del lago”, sempre insieme a Isabella Colbran. La coppia era perfetta per Rossini e ne “L’italia in algeri”, il tenore partonopeo impressionò non poco.
Ancora una volta è Stendhal a citare i virtuosismi del cantante. Secondo l’autore de “Il rosso e il nero”, infatti, non si poteva far altro che entusiasmarsi:
La cavatina di Lindoro dell’Italiana in Algeri, Languir per una bella, è stata di una freschezza assolutamente perfetta. Ogni nota era potente e la musica semplice. Questa cavatina è una delle cose più deliziose che Rossini abbia mai scritto per una vera voce da tenore. Non dimenticherò mai l’impressione che mi fece Davide, il primo – o meglio il solo – tenore che esista al giorno d’oggi.
Lodi sperticate per compositore e cantante, Stendhal non riusciva a trattenere la gioia che gli provocava questo personaggio, degno figlio di cotanto padre già ammirato a sua volta anni prima. In altri articoli ne parlò sempre positivamente, soprattutto il furore che provocava. Bastava sapere della sua partecipazione a qualche opera e il pubblico andava in visibilio. Come accade ancora oggi, comunque, non tutti gradivano il suo modo di emettere le note.
Come già sottolineato, i falsetti e i falsettoni erano tra le sue prerogative, anche se bisogna considerare che erano tipici del periodo in cui cantava. L’estensione era senza dubbio ampia e testimoni di buona memoria hanno riferito della capacità del tenore di raggiungere il La nella stessa ottava, molto probabilmente partendo da un falsettone che faceva storcere il naso a più di uno spettatore. Il pregio principale del padre era quello dell’omogeneitò del suono, senza dimenticare la pienezza della voce. Entrambe le caratteristiche non furono mai fatte proprie da Giovanni, criticato per qualche problema di troppo in relazione al volume. In quest’ultimo caso non si tratta di esagerazioni, visto che persino un fan sfegatato come Stendhal non riusciva a nascondere la delusione. Un anno non proprio entusiasmante fu il 1829, quando si recò a Roma. Al Teatro Tor di Nona (il futuro Apollo che ospitò le prime rappresentazioni de “Il trovatore” e “Un ballo in maschera”) venne scelto per “Gli arabi nelle Gallie” di Pacini, mentre all’Argentina sostenne il ruolo di Gualtiero ne “Il pirata” di Bellini.
Nell’opera del musicista siciliano David fu ritenuto il responsabile dell’insuccesso: secondo i critici dell’epoca, si sentiva perfettamente che il tenore napoletano non aveva più fiato, come se gli sforzi degli anni precedenti avessero presentato un conto salatissimo. Sempre a Roma il cantante fu piuttosto sfortunato. Una delle sue esibizioni venne ascoltata attentamente da Giuseppe Gioacchino Belli, il celebre autore di versetti in romanesco che non gli perdonò nulla. Bastò una sola serata per ispirare Belli che scrisse quattro sonetti al vetriolo. Critica seria oppure avversione personale? “A li sori anconetani” è uno di questi sonetti:
Ma nun è mmejjo d’avé ppiú cquadrini e ppiú ggrano e ppiú vvino a la campagna, che mmagnà nnote pe’ cacà stuppini? E er sor Davìd che imberta e cce se lagna, quanno sarà dde llà dda li confini, l’averà da trovà ‘n’antra cuccagna!
Di certo la carriera di Giovanni David non fu sfortunata, anzi il successo non mancò mai. Il padre lo superò di gran lunga per quel che riguarda il bilancio complessivo, visto che l’ingombrante genitore riuscì ad avere critiche lusinghiere e invidiabili anche a 50 anni. Lo stesso non avvenne per il figlio, rimproverato più di una volta proprio dal sangue del suo sangue. Secondo un informatissimo Stendhal, Giacomo osservò come Giovanni non usasse abbastanza dolcezza mentre cantava, sacrificando questo approccio in favore dell’agilità. Altre accuse non troppo velate da parte della critica riguardarono l’assenza di gusto, mentre tutti sapevano riconoscere a David II la grande originalità. Il declino fu inevitabile, il tenore napoletano perse completamente la voce e dedicò il resto della sua vita all’insegnamento. Nella sua città natale, la scuola non venne frequentata da molti artisti, al contrario dell’esperienza di Vienna (proficua e impreziosita dalla collaborazione con Gaetano Donizetti).
Lo stesso Donizetti confessò ad altri amici come Giovanni David non avesse una grande fama di insegnante, se la cavava molto meglio in cucina e nell’organizzazione di banchetti e feste. Gli ultimi anni li trascorse a San Pietroburgo insieme alla figlia, dopo aver accettato un impiego come regista dell’Opera Italiana. La morte lo colse in Russia nel 1868. Aveva 78 anni e ci si era dimenticati del suo passato prestigioso. A distanza di tempo sono state riconosciute doti come la grande semplicità di cui era in possesso nel passaggio da un registro all’altro, l’abilità (non comune) di far commuovere il pubblico e la stima incondizionata di Rossini. Il fatto che il compositore gli abbia assegnato così tanti ruoli, soprattutto in occasione delle prime rappresentazioni delle sue opere, è un dettaglio che non può essere messo in secondo piano.