La Bohème
Dopo il lungo periodo di chiusura in osservanza delle disposizioni anti-Covid, il Teatro Comunale di Bologna riapre le porte al pubblico con “La Bohème”, regia di Graham Vick.
Risale al febbraio 2020 l’ultima produzione allestita dal Teatro Comunale di Bologna: dopo quelle recite di “Madama Butterfly” nulla sarebbe stato più come prima e il Covid avrebbe cambiato, tra l’altro, la vita e le abitudini dei frequentatori del teatro d’opera. Dopo un silenzio durato quasi quindici mesi (eccezion fatta per una breve parentesi autunnale al PalaDozza, complesso che ha ospitato provvisoriamente alcuni spettacoli previsti in cartellone) la sala del Bibiena riapre al pubblico e lo fa sempre nel segno di Giacomo Puccini e con uno dei suoi titoli più amati e rappresentati di sempre, “La Bohème”.
Per questa occasione viene ripresa, in particolare, la produzione firmata, nel progetto registico, da Graham Vick, pensata proprio per il Teatro Comunale, dove ha debuttato nel gennaio 2018, questo allestimento ha poi vinto nel 2019 l’illustre premio Abbiati come miglior spettacolo.
Dopo i primi attacchi dell’orchestra avanza sul palcoscenico il tableau del primo atto: ci troviamo nella famosa soffitta, un appartamento qualunque abitato da quattro studenti scapestrati, pieni di voglia di vivere e di speranze per il futuro. Pochi elementi d’arredo rappresentano l’allegro caos da fuorisede in cui vivono questi ragazzi, che si emozionano al pensiero della vigilia di Natale e che sanno raggirare in tono scanzonato il padrone di casa che viene a batter cassa per l’affitto arretrato. Quando Rodolfo rimane solo, ecco sopraggiungere Mimí, la vicina che forse è salita alla soffitta in cerca di calore umano e, come ogni ragazza della sua età, è piena di voglia di innamorarsi. La scena rimane in penombra e tra i due ragazzi è palpabile la tensione emotiva, esplode l’amore, che nella visione registica non è solo un sentimento idealizzato, ma anche una voglia concreta di carezze e baci. Senza soluzione di continuità ci troviamo al Cafe’ Momus e, tra le luci e il clangore della folla, arriva Musetta, provocante, graffiante, esagerata nell’esibita volgare sensualità mentre attorno a lei è un tripudio di pacchetti contenenti doni e palloncini tra le mani dei ragazzini. La scena dalle suggestioni pop sembra suggerire una ambientazione negli anni novanta del novecento. Abbandonate le atmosfere festose di secondo atto, il terzo atto si apre nel degrado di una periferia malfamata dove regnano la violenza, il sesso a pagamento e lo spaccio di droga. Mimí si presenta a Marcello come una ragazza forte e risoluta; nel successivo incontro con Rodolfo la ragazza appare quasi sostenuta e disinteressata di fronte alla fine della loro relazione, ma quando viene evocata la cuffietta rosa, il pegno d’amore di tempi felici, ecco che cambia tutto e i due ragazzi ritrovano la tenerezza e il sentimento che li univa. Nel quarto atto si ritorna alla soffitta, questa volta un ambiente spoglio e privato di quegli arredi che ingombravano le pareti nel primo atto. Forse la vita da fuorisede è terminata ed è tempo di lasciare la vita spensierata della giovinezza, i nostri protagonisti hanno perso il disincanto delle belle speranze del futuro e hanno forse maturato la consapevolezza che la vita a volte non è sempre così lieta. Dopo alcuni ultimi momenti goliardici fra i quattro amici, il destino e la morte bussano alla porta della soffitta. Mimí sopraggiunge con Musetta e dato lo stato di consunzione che le si legge in volto viene fatta accomodare in un giaciglio di fortuna per terra, non prima di averle tolto le belle scarpe rosse (forse un retaggio di un momento di felicità passata?). Davanti alla morte che avanza i ragazzi hanno reazioni molto diverse tra loro: Shaunard è commosso e riesce a provare una grande pietà, Marcello sembra ribollire per la rabbia di sentirsi impotente davanti all’impossibilità di salvare la ragazza, Colline è riflessivo, Musetta perde quell’esuberanza mostrata in secondo atto, ma la reazione più sconvolgente è quella di Rodolfo, quasi inorridito nell’avvicinarsi alla moribonda, un ragazzo che si trova a fare i conti, all’improvviso con una situazione più grande di lui e alla quale non è preparato. Il finale risulta emotivamente lapidario: coperto il cadavere con un lenzuolo, i ragazzi fuggono dall’appartamento (forse dalla morte e dalla vita stessa) in fretta e furia, primo fra tutti Rodolfo.
Una chiave di lettura, quella di Vick, attualissima, modernissima e spietata; un ritratto livido e cinico di una gioventù egoista, egocentrica e per certi versi anafettiva. Un’interpretazione che non lascia spazio ai melliflui abbandoni e ai romantici struggimenti di certe ambientazioni di stampo più tradizionale; nulla è lasciato al caso, lo studio della gestualità dei personaggi è maniacale e sembra appartenere allo stile narrativo del teatro di prosa. Uno spettacolo memorabile ed indimenticabile.
In perfetta sintonia con il progetto registico sono le scene e i costumi (contemporanei e volutamente cheap) firmato da Richard Hudson. Di rara suggestione le luci curate da Giuseppe di Iorio: in particolarmente il clima di penombra nel quale si svolge il duetto tra Rodolfo e Mimí in primo atto o, ancora, il contrasto tra le luci delle insegne di Momus di secondo atto e l’oscurità che avvolge il livido degrado dei bassifondi in terzo atto.
Sul podio il Maestro Francesco Ivan Ciampa offre una lettura asciutta, sicura, rispettosa delle intenzioni pucciniane e particolarmente attenta a cogliere tutte le sfumature della partitura. Un’interpretazione pulita, essenziale, che, in linea con il filo conduttore proposto dal regista, ovvero una vicenda in cui i personaggi vivono le loro emozioni in modo problematico, riesce a sfrondare ogni facile cliché sentimentale dovuto alla tradizione esecutiva. Se il primo atto risulta carico di pathos e il secondo dominato da un ritmo brillante spensierato, il terzo e quarto atto sono pervasi da un’atmosfera triste, permeata di malinconia e turbamento. Ciampa mantiene viva la tensione emotiva per tutta la durata dello spettacolo grazie alla scelta di tempi adeguati e coerenti.
L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna appare in buona forma e mostra una buona capacità di coordinamento tra le varie sezioni e con il palco.
Di buon livello e ben affiatata la compagnia di canto.
Benedetta Torre tratteggia una Mimí riuscitissima: dotata di grande musicalità e ottima intonazione, affronta la scrittura pucciniana con precisione ed eleganza. Pregevole l’utilizzo dei filati e delle mezze voci; il bel timbro lirico e la limpidezza del mezzo le consentono di realizzare il personaggio della giovane eroina del dramma con convinzione e credibilità. L’esecuzione dell’aria di terzo atto “Donde lieta uscì”, grazie al ricorso di infiniti colori e sfumature, resta uno dei momenti da ricordare della sua prestazione. L’interprete risulta sempre espressiva ed emotivamente coinvolta, mai banale, una ragazza moderna che crede nell’amore e con una grande forza di volontà. Sulla scena è credibile, si muove con naturalezza e disinvoltura e coglie perfettamente le intenzioni del progetto registico di Vick.
Francesco Castoro presta a Rodolfo il bel colore chiaro del proprio mezzo oltre ad una buona capacità espressiva nella resa del personaggio. Il tenore mostra una certa facilità nel registro acuto che risulta squillante e ben proiettato in sala. Le frasi della partitura vengono accarezzate con facilità e adeguato slancio emotivo. Ben riuscita l’esecuzione della celebre aria di primo atto, “Che gelida manina”, grazie ad una ragguardevole padronanza del fraseggio e un sapiente dominio di tutta la gamma del registro vocale, compresa la “temibile” puntatura acutissima che viene espugnata con facilità.
L’interprete in primo atto disegna un poeta innamorato, in netto contrasto con il personaggio della seconda parte del dramma, dominato dalla paura (o forse dall’immaturità) della perdita della sua innamorata e della morte.
Perfettamente centrato il Marcello interpretato da Andrea Vincenzo Bonsignore. Il baritono presenta una linea melodica ben impostata, che suona limpida ed intonata a tutte le altezze. Il colore suadente della voce, la proprietà d’accento e la bella presenza scenica, concorrono alla realizzazione di un personaggio decisamente accattivante.
Valentina Mastrangelo interpreta, coerentemente con la versione del regista, una Musetta “sopra le righe”, esibizionista, forse, di fatto una ragazza che non disdegna le attenzioni e che ama avere gli sguardi altrui puntati addosso. Vocalmente sfoggia un bel timbro chiaro e un buon controllo del mezzo: si segnala, in particolare, la buona riuscita della parte finale del valzer di secondo atto “Quando men vo’ “, dove l’acuto viene smorzato in un pianissimo ben appoggiato.
Paolo Ingrasciotta è uno Schaunard di ottima fattura: il colore solare della voce, la buona intonazione e il corretto controllo dell’emissione siglano una prestazione ben riuscita. Scenicamente risulta disinvolto e credibile, si muove con agilità e naturalezza.
Pregevole il Colline interpretato da Francesco Leone, dotato di un mezzo dal bel colore vellutato, ottima musicalità e naturale forza espressiva. Si segnala la bella esecuzione dell’aria di quarto atto “Vecchia zimarra”, emotivamente partecipata ed accorata. Data la sua età, l’artista offre un personaggio giovanile, ma dotato di grande maturità espressiva.
Efficace Bruno Lazzaretti, impegnato nel duplice ruolo di Benoit e Alcindoro, cui va il merito di interpretare questi personaggi con una linea vocale pulita, ironica ma non gigiona, elegante ed espressiva.
Completano il cast, risultando tutti adeguati, Ugo Rosati, Parpignol, Enrico Picinni Leopardi, un venditore, Sandro Pucci, un doganiere e Raffaele Costantini, un sergente dei doganieri.
Puntuale e di buon livello la prestazione del Coro del Teatro comunale di Bologna, diretto con maestria dal Maestro Alberto Malazzi. Incisivo e di rilievo anche il Coro delle Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna diretto da Alhambra Superchi.
Al termine dello spettacolo il pubblico, che non aveva mancato di accogliere gli appuntamenti canonici dell’opera con applausi calorosi, si scatena in un tripudio che accomuna tutti gli interpreti, con particolari punte di entusiasmo per i due protagonisti. Un ottimo avvio di questa nuova stagione in epoca post-Covid.
Per chi non volesse perdersi questa produzione particolarmente interessante, si replica sino al 12 agosto.
LA BOHÈME
Opera in quattro atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Rodolfo Francesco Castoro
Marcello Andrea Vincenzo Bonsignore
Schaunard Paolo Ingrasciotta
Colline Francesco Leone
Benoît / Alcindoro Bruno Lazzaretti
Mimì Benedetta Torre
Musetta Valentina Mastrangelo
Parpignol Ugo Rosati
Sergente dei doganieri Raffaele Costantini
Un doganiere Sandro Pucci
Un venditore Enrico Picinni Leopardi
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Alberto Malazzi
Maestro del Coro voci bianche Alhambra Superchi
Regia Graham Vick
Scene e costumi Richard Hudson
Luci Giuseppe Di Iorio
FOTO CASALUCI RANZI