Interviste 2021

Intervista a Marco Filippo Romano

Abbiamo il piacere di incontrare Marco Filippo Romano, al suo debutto al Teatro alla Scala nel ruolo di Taddeo nella produzione de “L’italiana in Algeri’” di Gioachino Rossini che andrà in scena per un’unica recita il prossimo 25 maggio.

Marco, questa produzione di “Italiana in Algeri” di Gioachino Rossini segna il tuo debutto al Teatro alla Scala. Un importante risultato che si aggiunge alla tua prestigiosa carriera. Raccontaci le tue emozioni nel prendere parte a questo spettacolo.

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Marco Filippo Romano

Solo nel pensare di rispondere mi emoziono, significa tanto questo debutto: è il sogno che si avvera, che trascina con sé anche l’orgoglio di essere il primo nisseno nella storia ad aver cantato alla Scala di Milano. Penso alla mia famiglia, è anche il loro sogno che si realizza, un debutto che dedico a tutte le persone che hanno creduto in me e mi hanno sostenuto, dai miei genitori ai miei nonni che purtoppo non hanno potuto gioire di questa notizia e a mia moglie che, sarò scontato, per me è il tutto.  Sicuramente un debutto che arriva dopo tanti anni di teatro e dopo tanto Rossini, come è giusto che sia, perchè quando si arriva con la consapevolezza di ciò che si fa, ci si diverte di più e si gode meglio del momento.

Il ruolo di Taddeo è un esempio illustre del Rossini buffo: com’è questo personaggio nella tua interpretazione?

Taddeo è il ruolo che mi ha aperto le porte negli enti lirici, nel 2010 infatti debuttai prima al Maggio Musicale Fiorentino e dopo qualche mese al Regio di Torino. Ricordo molto bene l’audizione a Torino, allora il casting manager era il Maestro Alessandro Galoppini che adesso ricopre lo stesso ruolo in Scala, lo ringrazio per allora ed anche per adesso. Tornando alla domanda posso rispondere dicendo che forse Taddeo è un sempliciotto o comunque lo fa, innamorato perso della sua Isabella, pronto a farsi Kaimakan per lei e per sfuggire al “palo”. Cerco di dosare nella mia interpretazione un pizzico di tenerezza, un po’ di furbizia ma anche tanta ingenuità, tutte queste sfaccettature provo a farle percepire attraverso l’ostinata ricerca di colori nella voce.

Con questa edizione viene ripresa la storica regia di Jean-Pierre Ponnelle, le cui produzioni sono ancora oggi immortali. Come hai vissuto la preparazione di questo spettacolo? Chi è Taddeo in questa “Italiana”?

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Marco Filippo Romano

Chissà come sarebbe stato lavorare con il Maestro Ponnelle, purtoppo non lo saprò mai, ma in Scala abbiamo la fortuna di montare questa ripresa con il suo storico assistente, il Maestro Grisha Asagaroff, che con il suo spartito originale del 1971 ci sta facendo riprodurre lo spettacolo originale, togliendo le incrostazioni che si sono create in questi quasi 50 anni. Quando mi sono trovato al cospetto di quelle scene, ho pensato a tutti i Taddeo che mi hanno preceduto, hanno tutti indossato quel “gran peso sulla testa”. In questa edizione ho voluto omaggiare un suo grande protagonista Enzo Dara, ma non ho voluto  rendegli questo omaggio provando a riprodurre quelle che erano le sue caratteristiche sceniche o vocali, insieme con il regista abbiamo voluto ricordarlo utilizzando una parrucca che in un qualche modo ricordi il suo inarrivabile Taddeo. Sarò quindi in scena molto dinamico, come la regia vuole. Musicalmente un Taddeo  molto fedele allo spartito ed allo stile rossiniano.

Il Rossini buffo nel tuo repertorio è ben presente  e oggi sei considerato uno degli interpreti di riferimento per questo repertorio: Don Bartolo, Don Magnifico, Taddeo e Don Geronio solo per citare i più famosi. Quali sono le caratteristiche che accomunano tutti questi personaggi da un punto di vista vocale ed interpretativo? Quali invece le peculiarità che li distinguono uno dall’altro?

I quattro ruoli sovracitati sono sicuramente lo stereotipo del buffo rossiniano. Andando nello specifico, l’uso del sillabato, non solo nelle arie ma anche, ad esempio, nei concertati come i quattro finali del primo atto, sono la caratteristica più preponderante. I sincopati che in punti musicali strategici sottolineano la complessità dei loro stati d’animo sono un’altro importante segno distintivo. Un buffo rossiniano deve anche cantare legato ed avere a disposizione una tavolozza di colori molto variegata. Non tutti i buffi sono cattivi come Magnifico, sono sempliciotti come Taddeo, innamorati come Don Geronio e arcigni come Bartolo. Quindi nel cantare Don Magnifico si deve spingere sulla pronuncia delle consonanti, su Taddeo bisogna cercare di diversificare le dinamiche con improvvisi piani che lascino intendere quel porsi costantemente dubbi su ciò che accade, Don Geronio deve avere nel canto quel legato che lasci immaginare questo scivolamento nel sentimento amoroso ed infine gli scatti ritmici di Bartolo devono sottolineare il suo stare sempre in guardia su tutto. Questi sono alcuni esempi di ciò che è la mia personale visione di questi personaggi. Potrei continuare con altri mille esempi ma basterebbe citare gli incipit delle varie arie per capire la loro diversità: “Sia qualunque delle figlie” è indice dell’ egoismo di Don Magnifico, “Ho un gran peso sulla testa” sottolinea l’essere indifeso ed in preda agli eventi di Taddeo, “A un dottor della mia sorte” indica il forte carattere di Bartolo ed in fine “Vado in traccia di una zigara”  la disperazione di Geronio per sanare la testa piena di capricci della sua Fiorillina.

Tra i “quattro grandi buffi” di cui parlavamo nella domanda precedente, quale ti è particolarmente caro (o nella cui vocalità ti trovi più a tuo agio) e per quale motivo?

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Marco Filippo Romano

Come si fa a rispondere, è come chiedermi se preferisco il pane con la nutella, un piatto di bucatini alla matriciana o il coniglio alla cacciatora… Tutti potrebbero pensare che il mio ruolo preferito è il Bartolo, sicuramente è quello che canto di più e che mi ha dato tante soddisfazioni, ma il mio ruolo preferito, forse perchè mi commuove più degli altri è Don Geronio. Vocalmente sono abbastanza simili, certo Taddeo sfoga più acuto di Don Magnifico, ma la mia voce trova comodità, o per meglio dire, cerca di adattarsi a tutti e quattro i ruoli.

Se fossi a cena con Rossini, peraltro noto per la sua passione culinaria, quali consigli o curiosità gli chiederesti?

Invidierei la sua fantasia nel creare accoppiamenti di sapori, mi piacerebbe tanto osservarlo mentre prepara con le sue mani i suoi piatti prelibati, lì al banco della cucina mentre rosola il suo filetto. Chiederei di abbinare un piatto ad ogni suo personaggio buffo così da scoprire il vero carattere che lui ha pensato. Mi piacerebbe sapere dal maestro Rossini che vino ama Taddeo, quale è il piatto preferito di un Pappataci e cosa avrebbe fatto mangiare a Mustafà se la regia l’avesse fatta lui…

Quali ruoli rossiniani ti piacerebbe debuttare e per quale motivo?

Mi piacerebbe debuttare Gamberotto dell’Equivoco stravagante, un personaggio che trovo molto nelle mie corde, penso anche all’istrionico Germano perchè i servitori hanno una marcia in più e sicurante mi divertirei tanto.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?

Dopo questo impegno scaligero tornerò al Teatro Regio di Torino per le riprese, questa volta con il pubblico, dell’Elisir d’amore che abbiamo fatto in streaming in aprile e quindi il caro Dulcamara, successivamente sempre a Torino due intermezzi del settecento che verranno eseguiti all’interno dei giardini del Palazzo Reale, successivamente il mio ritorno a Milano con Bartolo in una nuova produzione di Barbiere della Scala. Torno a Bologna sempre con Barbiere e finalmente a Novembre ritrovo la mia adorata Mamma Agata a Piacenza, dove nel cast ci sarà anche mia moglie Silvia, dicembre debutto a Dresda con Cenerentola e poi tanti altri impegni nel 2022 fra i quali il mio ritorno ad Oslo.
 

Tra poco diventerai papà: se tua figlia un giorno ti dicesse che la sua aspirazione è quella di diventare una cantante, quali insegnamenti le daresti?

Questo è il più grande debutto che sto preparando… un ruolo che maturerà sicuramente con il tempo. Scherzando con mia moglie Silvia diciamo che è l’unico ruolo per il quale non abbiamo bisogno del pianista per studiarlo. Ci stiamo preparando tanto… A volte fantastichiamo sul futuro musicale di Sveva, ecco  “spoilero” per gli amici di Operalibera il nome, ma Silvia si augura che faccia altro, non tanto per il tipo di lavoro in sé ma perchè già siamo due “primedonne” manca la terza ed abbiamo fatto bingo. Se dovesse comunque diventare una cantante, augurandomi sia un mezzosoprano come la madre, o quantomeno non sia un soprano lirico leggero (perché con quelle combatto durante la vita artistica), le auguro il talento della madre e la follia del padre, sicuramente mi sentirei di dirle che nessuno regala niente e tutto deve essere sudato, tanto studio e tantissima curiosità con un pizzico di arguzia.

FOTO: Brescia – Amisano Teatro alla Scala e Alessandro Luongo