Concerto Verdi e La Fenice
Grandissima emozione. Senza mezzi termini devo ammettere che anche noi critici musicali, uniche presenze mature in mezzo ad un freschissimo e spontaneo pubblico di giovanissimi o secondo il linguaggio odierno i millenials, nati tra il 1981 ed il 1996, ovvero quelli che hanno compiuto il loro primo od ultimo anno da teenagers (età 13-19) durante il corso degli anni 2000. Il mitico, dorato scrigno del Gran Teatro La Fenice lunedì 26 aprile ha finalmente accolto il suo pubblico, dopo tanto silenzio, dopo tante registrazioni in streaming, sicuramente ottime e gradite dal pubblico, ma raggelanti per tutti gli artisti coinvolti proprio perché mancava la linfa stessa del teatro: il pubblico. Il target di età è stato ideato e fortemente voluto dal M. Fortunato Ortombina, sovrintendente del teatro veneziano, e devo ammettere che ci ha visto bene.
La grande magia l’hanno creata proprio questi spettatori, così carini ed emozionati, vestiti “da teatro” e già naturalmente tutti belli, vista la freschezza dell’età. Si sono emozionati, hanno applaudito con forza e scandendo alla fine con battimani ribattuti il loro apprezzamento ed hanno ampiamente dimostrato di recepire l’intensità dei sentimenti espressi dai due grandissimi interpreti in scena. Era peraltro un concerto non facilissimo da seguire per chi è digiuno o non bazzica il melodramma. Non c’erano sul palcoscenico il soprano con i suoi sovracuti o il tenore con i do di petto, ma veniva presentato il coté paternalistico o più maturo del mondo operistico, il baritono e il basso. E che rappresentanti delle due vocalità sono stati schierati dalla Fondazione veneta, da sempre innovativa e sperimentale! Il baritono rispondeva al nome di Luca Salsi e il basso Michele Pertusi. Due parmigiani alla corte del Doge si potrebbe dire… Chi scrive aveva vagheggiato, sentendoli in presenza al Teatro Comunale di Modena nel Don Carlo trasmesso poi in streaming e dove impersonavano Rodrigo e Filippo II, un concerto con in programma i duetti verdiani. E sono stata accontentata! I due artisti erano molto coinvolti ed emotivamente colpiti, tanto che Salsi a fine concerto, dopo i tanti applausi costellati da hole e da urla piene di gioia, ha preso la parola e ha confessato che “posso anche esprimere il pensiero del mio amico Michele Pertusi, dopo anni di gloriosa carriera in tantissimi grandi teatri, questi sono gli applausi più belli che abbiamo mai ricevuto”. E meritati direi.
Inizio proprio da Luca Salsi che in questo concerto ha dimostrato una grande peculiarità, oltre alla sempre ottima voce morbida, uniforme ed estesa: il saper caratterizzare con il porgere della parola, con l’espressività trasfusa nel fraseggio e con il sapiente uso della vocalità e delle mezzevoci ogni singolo personaggio. E cosi scandendo bene le consonanti e rendendo luminose ed ampie le vocali è stato un tronfio e sicuro di sé Carlo V nell’Ernani, premonitore del sovrano assoluto che diventerà in seguito. Il generale romano Ezio, in Attila, deluso nei suoi ideali e fiero, è stato dipinto dal cantante con slanci eroici nella zona acuta e con piglio guerresco e baldanzoso. Monumentale il Rigoletto per come ogni singola sillaba è stata elaborata, sofferta e ben studiata, cosa già ascoltata ed apprezzata nel Rigoletto di Firenze. Il Germont di Salsi è un padre amorevole, che nei pianissimi con cui rende un gioiello l’aria “Di Provenza “ ci fa conoscere nuove possibilità nell’affrontare l’arcinota aria in Traviata. Per finire con uno straordinario Simone Boccanegra eseguito caratterizzando diversamente il corsaro protagonista nel Prologo, pieno già di rimpianti e con slanci giovanili e irruenti, e il Doge morente nell’ultimo atto, consegnandoci un’interpretazione sublime.
Michele Pertusi è l’eleganza che diviene somma arte, costellata da una profondissima e pregnante umanità. Una voce che arriva dritta al cuore, intensa, bronzea ed insieme avvolgente, una vocalità che accarezza l’anima. L’artista non interpreta, semplicemente è il personaggio a cui da vita. Il suo Silva ha una grande cavata epica, ogni parola è cesellata e colorata da un fraseggio sapiente. Attila è gigante, in tutti i sensi. L’aria “Mentre gonfiarsi l’anima “ e la successiva cabaletta restano scolpite nel cuore di chi ascolta. Da antologia il fascinoso e lunghissimo re grave emesso nel duetto Sparafucile e Rigoletto, dove il nostro tratteggia un sicario senza pietà, ma allo stesso tempo nobile e deciso. Come Fiesco in Simone Boccanegra, appare ben determinato nel suo gelido rigore, che sfocia nell’emozione profonda del finale. Le due voci si fondono perfettamente, un suono di velluto unico ed affascinante. Il Coro del Teatro La Fenice (con Maestro Claudio Marino Moretti ) brilla in alcuni interventi con la consueta e conosciuta bravura, da menzionare un soavissimo coro interno nel Simone Boccanegra versione prima per La Fenice, eseguito con pianissimi perlacei e suggestivi dalle sezioni femminili.
Il direttore Stefano Ranzani, turbato piacevolmente e commosso nel vedere il pubblico che riempiva il teatro (anche se in pieno rispetto delle disposizioni si era a metà capienza della sala) ha intessuto un ottimo dialogo strumentale con i solisti di canto, facendo risaltare alcune parti a volte non sempre in rilievo. Oltre ad usare ampiamente una gran tavolozza di colori nel ritmo e nel fraseggio, molto ben seguito ed assecondato dall’Orchestra del Teatro La Fenice.
Voci molto ben emesse, con ottima musicalità e presenza scenica incisiva quelle delle parti comprimarie maschili il tenore Cristiano Olivieri, il baritono Armando Gabba (il terzo parmigiano presente!) e il basso Matteo Ferrara. Unica nota non gradevole il mezzosoprano Chiara Brunello, esagitata come movenze e non gradevole come vocalità.
Possiamo insomma affermare che La Fenice è ripartita con il botto e con un entusiasmo travolgente ed unico.
Verdi e La Fenice
con il baritono Luca Salsi, il basso Michele Pertusi
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Chiara Brunello mezzosoprano
Cristiano Olivieri tenore
Armando Gabba baritono
Matteo Ferrara basso
Foto di scena : Michele Crosera