Il tenore incarcerato per aver fischiato il pubblico: il caso di Alberico Curioni
Nessuna certezza sui dati anagrafici e nemmeno sulla formazione musicale: il nome di Alberico Curioni, tenore milanese vissuto tra la fine del ‘700 e l’800, poteva passare inosservato a lungo se non fosse stato associato a un aneddoto curioso che fa però capire come funzionavano i teatri d’opera del passato. Curioni sarebbe nato nel 1785, ma poi il necrologio della Gazzetta Musicale di Milano mette in dubbio anche questa data, visto che informa del suo decesso nel 1875 all’età di 88 anni (un dettaglio che lo farebbe nascere due anni dopo). Creò il ruolo di Alberto ne “La Gazzetta” di Gioachino Rossini nel 1816, lo stesso anno in cui fu protagonista dell’aneddoto accennato sopra. Si trattava della stagione di carnevale del Teatro Ducale di Parma che prevedeva titoli oggi dimenticati come “Trajano in Dacia” di Nicolini, “Zaira” di Federici” e “Le nozze di Lauretta”. Le autorità dell’epoca potevano persino permettersi di arrestare i cantanti, un’antica consuetudine che colpì molti artisti che si fingevano malati o che non rispettavano il contratto sottoscritto.
In particolare, venivano tenuti in prigione oppure in una residenza sorvegliata 24 ore su 24 e nel corso delle serate venivano accompagnati in teatro dalle guardie per cantare. Anche i ballerini subirono lo stesso trattamento e il caso più grave fu proprio quello di Curioni. In carriera era già finito in manette per aver insultato il pubblico che non aveva gradito la sua performance, ma nel 1816 andò oltre: al termine di quella turbolenta stagione parmigiana, ricambiò i fischi degli spettatori a modo suo, cioè fischiando a sua volta quelle persone che ce l’avevano con lui. Il gesto fu clamoroso e se ne parlò per moltissimi giorni: il tenore milanese venne portato di forza presso una fortezza dove rimase per otto giorni, prima di essere espulso dal Ducato per sempre. Non mancarono per Curioni altri riconoscimenti dopo questa disavventura: nel 1833 fu il primo Orombello in “Beatrice di Tenda” di Vincenzo Bellini, con lo stesso compositore siciliano che espresse però su di lui un giudizio piuttosto negativo. Le ultime notizie artistiche risalgono al 1837, visto che Giuditta Pasta parlò del cantante in una lettera e della sua presenza a Londra.