Schiaffi, tumulti, arresti: l’incredibile première di “Adelia”
Temo per Adelia, di cui sono alla fine del terzo atto, tranne pochi versi da farmi fare in Roma.
Non era sicuramente ottimista Gaetano Donizetti quando parlava di quella che sarebbe diventata la sua ultima opera rappresentata nella futura Capitale. Dopo aver scritto in scioltezza i primi due atti e averli consegnati all’impresario del Teatro Apollo, Vincenzo Jacovacci, erano cominciati i problemi. Nonostante la riconciliazione con il librettista Felice Romani, una serie di presagi fece addensare nubi sempre più nere sulla prèmiere di “Adelia”, opera seria in tre atti, ricavata a sua volta da un’altra composizione, “La figlia dell’arciere” di Carlo Coccia. Quest’ultima era stata messa in scena per la prima volta a Napoli sei anni prima che Donizetti scrivesse questa lettera preoccupata. Di quali presagi si sta parlando?
Quello principale aveva a che fare con il Papa. In quel periodo il Pontefice era Gregorio XVI e proprio tra il 1840 e il 1841 si diffuse la voce della sua morte. La conferma di una notizia del genere avrebbe comportato l’inevitabile chiusura di tutti i teatri romani per un periodo di lutto. La confusione e l’incertezza influenzarono anche Donizetti, il quale ritardò la partenza alla volta di Roma finché non ci fu la conferma che il Papa era ancora vivo. Lasciò quindi Parigi il 14 dicembre 1840 per gestire l’allestimento della sua opera. La navigazione via mare fu burrascosa, al punto che il compositore bergamasco non arrivò a Civitavecchia, come previsto, ma a Tolone. Soltanto il 28 dicembre fu possibile raggiungere Roma, due giorni dopo l’inaugurazione della stagione del Teatro Apollo. I contatti fra Donizetti e Jacovacci per “Adelia” erano iniziati un anno prima, ma soltanto a giugno la situazione si era sbloccata, grazie proprio all’insistenza dell’impresario. Un altro lavoro del musicista lombardo aveva impreziosito l’inaugurazione, il “Marin Faliero”, con il forfait all’ultimo minuto di Giuseppina Strepponi (la futura moglie di Giuseppe Verdi) che si era ammalata di rosolia. Il nuovo cast vocale e i tagli della censura provocarono l’irritazione dei romani, i quali accolsero con altri sentimenti la seconda opera in programma, “Mosè e Faraone” (il nuovo titolo dato a “Mosè in Egitto” di Rossini). L’11 febbraio 1841 fu la volta dell’attesa novità di Donizetti: l’atmosfera era frizzante e il pubblico aveva preteso la Strepponi, nonostante i problemi di salute e la voce non ancora in perfetta forma.
Una diva di quel calibro e un compositore affermato come Donizetti non potevano far rimanere indifferente il pubblico. La richiesta di biglietti fu enorme Jacovacci fiutò immediatamente l’affare, senza però pensare alle conseguenze. Per tutto il ‘700 e gran parte dell’800 i governi sudarono le proverbiali sette camicie per mettere un freno al mercato nero dei biglietti (usati e rivenduti in corso di rappresentazione oppure falsificati). Nel caso dell’opera donizettiana, l’impresario pensò bene di fare profitti vendendo un numero di biglietti superiore a quello dei posti effettivi del teatro, riempito all’inverosimile e in poco tempo.
Una grande folla era rimasta fuori, senza alcuna possibilità di entrare nonostante un biglietto regolarmente acquistato e la tensione aumentò di minuto in minuto. Il baccano accompagnò quindi le prime note di “Adelia”, compromettendo inevitabilmente l’esito del debutto. I rumori provenienti dall’esterno durarono fino alla sesta scena, proprio mentre stava entrando in scena la protagonista del titolo, appunto la Strepponi. Come se non bastasse, dal suo palco il conte Augusto Marescotti pronunciò ingiurie a ripetizione contro i deputati degli spettacoli, tra i quali c’era anche il duca di Corchiano, seduto in un palco vicino. Il figlio del duca, Antonio Santacroce, reagì con uno schiaffo ben assestato alla guancia del conte e il clima si avvelenò ulteriormente.
Il seguito è facilmente immaginabile. Santacroce fu condannato agli arresti di rigore in casa (i moderni domiciliari), mentre Jacovacci venne arrestato e passò la notte in carcere. La cauzione sarebbe stata pagata dalla Strepponi e per l’impresario ci fu anche una multa salata, ben 100 scudi. Si può ben capire come l’inizio dell’opera sia stato il peggiore possibile, senza tralasciare il fatto che Donizetti non avesse gradito il libretto e le sue strutture musicali, considerate troppo vecchie. “Adelia” fu accolta con entusiasmo sincero a Napoli (al San Carlo fu rappresentata otto mesi dopo il “fattaccio”), rimanendo in repertorio fino al 1848, con due riprese nelle stagioni 1852-1853 e 1856-1857.
L’episodio della prèmiere non ha di certo aiutato, ma il giudizio su questi tre atti non è mai stato eccelso, nemmeno a mente freddissima durante le riprese più moderne. Nel 1997 e nel 1998 si è cercato di rispolverare lo spartito di “Adelia”, in occasione del bicentenario della nascita di Donizetti, ma le recensioni non sono migliorate. In particolare, la musica non ha convinto, in quanto giudicata incapace di raggiungere un livello adeguato dal punto di vista drammatico e lirico, per lo meno se confrontata con l’intera produzione del compositore. Se non altro il titolo rimarrà per sempre legato a uno dei debutti più disastrati e confusi di sempre della storia dell’opera.