Giuseppe Kaschmann, il signore delle scene
Un suddito austriaco, ma italiano di sangue e di spirito: ecco una bella descrizione che si può fare di Giuseppe Kaschmann, uno dei baritoni che dominò la seconda metà dell’Ottocento. La storia della sua vita comincia infatti nel 1850 a Lussinpiccolo, la località più importante dell’isola croata di Lussino. Il collegamento tra questo centro balcanico e il nostro paese è sempre stato molto stretto, tanto è vero che nel 1918 divenne possesso del Regno d’Italia. Kaschmann era l’ultimo di quattordici figli e già all’età di quattro anni dovette affrontare la terribile esperienza della perdita del padre. La madre, donna molto religiosa, non apprezzerà mai la tendenza crescente del suo figlio più piccolo a calcare le scene, ritenendo il teatro addirittura un’opera demoniaca.
In realtà, si sperava per lui ben altra carriera, ad esempio quella di prete o di avvocato. In realtà, gli affari, legali e personali, non lo interessavano affatto, tanto è vero che si dimostrò tra i cantanti lirici più disinteressati in assoluto dal punto di vista economico. La Facoltà di Legge venne quindi ben presto abbandonata. Molto meglio dedicarsi agli studi del canto con il maestro Giovannini di Udine. All’inizio, però, cominciò a cantare da basso, con il timbro baritonale che venne scoperto soltanto più tardi. A vent’anni lo si poteva considerare già maturo per la scena: ecco perché Milano fu considerata la tappa più azzeccata. La metropoli lombarda lo accolse solo e sconosciuto, ma la fortuna fu quella di scovare un’agenzia teatrale onesta.
Il proprietario gli confessò come meritasse un’offerta migliore di quella che poteva garantirgli: la sera stessa, passeggiando nell’attuale Galleria Vittorio Emanuele II, ascoltò un gruppo di cantanti che discutevano dell’audizione della mattina successiva di un baritono straordinario, dalla voce possente e dal nome straniero impronunciabile. Si trattava proprio di lui. L’editore musicale Ricordi aveva appreso di questo talento e non se l’era lasciato scappare, tanto è vero che arrivò immediatamente la prima scrittura per il Regio di Torino. L’esordio fu all’insegna di Donizetti, con la Lucia di Lammermoor: non si trattava di una delle parti principali, ma riuscì a superare gli altri artisti più celebri nel settimino che lo vedeva protagonista, grazie alla voce imponente e alla dizione perfetta. Il successo e il clamore non poterono che essere immediati.
Nel giro di ventiquattro ore tutto era cambiato, da anonimo e sconosciuto cittadino straniero a grande celebrità acclamata dai torinesi. Anche la Favorita gli riservò gli stessi riscontri positivi nel 1874 e da quel momento cominciò un tour nei più importanti teatri del mondo, con un repertorio molto ampio in italiano, francese, tedesco e perfino in serbo. Di lui si diceva che fosse molto colto, tanto da conoscere alla perfezione l’armonia e il contrappunto, senza dimenticare le sette lingue che parlava in modo fluente. La figura, imponente e maestosa, gli consentiva di raggiungere una incredibile padronanza scenica, con un tratto davvero molto fine. Il repertorio crebbe a dismisura, con opere più vecchie, bisognose di voce e scuola, e quelle moderne della sua epoca (Thais e Tosca su tutte), fino a Richard Wagner.
Non bisogna neanche dimenticare la sua interpretazione nel Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti (1892), la prima in assoluto, mentre la musica di Lorenzo Perosi trovò in Kaschmann l’interprete ideale, l’unico che fosse in grado di rendere al meglio il misticismo e la dolcezza che tanto cercava. C’è poi il merito di essere stato l’unico cantante italiano ad essere apparso ripetutamente sulle scene del Teatro di Bayreuth. Secondo quanto riportato dalle sue biografie, quando Cosima Wagner lo udì per la prima volta nel suo salotto, alla fine dell’aria del Tannhauser si rivolse agli altri artisti in questa maniera: Venite a sentire come si canta Wagner! Ma purtroppo questo miracolo lo sa fare solo il bel cielo d’Italia!
Giuseppe Kaschmann morì nel 1925 all’età di settantatré anni, ma non faceva parlare di sé da tanto tempo che si può dire le ultime tre generazioni non lo abbiano mai sentito. Il titolo di questo pezzo non è casuale, come si evince da una delle più recenti biografie dedicate a questo cantante (“Giuseppe Kaschmann. Signore delle scene” di Giusy Criscione Dello Schiavo). Gli ultimi anni furono caratterizzati da alcune dichiarazioni polemiche nei confronti dell’evoluzione del canto: a suo dire, infatti, la scuola degli anni Venti del ‘900 era profondamente mutata rispetto ai suoi tempi, con troppi urli e scatti vocali che intensificavano l’accento, mentre la critica espressa nei riguardi dei compositori di allora riguardò l’abuso di alcune tessiture considerate fin troppo inaccessibili.