A riveder le stelle (streaming)
Per l’irrinunciabile appuntamento del 7 dicembre il Teatro alla Scala di Milano mette in scena un gala’-concerto dal titolo “A riveder le stelle”.
7 dicembre: non esiste melomane che non colleghi questa data all’evento musicale (e di costume) dell’anno, la serata inaugurale della stagione d’opera e balletto del Teatro alla Scala di Milano, capace di attirare su di sé l’attenzione dei media e guadagnare la prima pagina delle testate giornalistiche. Il titolo prescelto per la l’apertura della stagione 2020/2021 sarebbe stato “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti, caposaldo del romanticismo musicale, in una nuova produzione firmata dal Maestro Riccardo Chailly per la parte musicale e dal regista Yannis Kokkos per quella visiva. Le prove erano iniziate regolarmente, ma le norme per il contenimento dell’attuale pandemia Covid previste dal DPCM che hanno disposto, tra l’altro la chiusura forzata dei teatri, l’incremento della curva dei contagi durante questa seconda ondata e, dato non meno rilevante, il manifestarsi di alcuni casi tra orchestrali e coristi, hanno portato il nuovo sovrintendente della Scala, Dominique Meyer a sospendere la produzione rinviandone la messa in scena non appena le circostanze lo renderanno possibile. Ma la cultura non deve, non può fermarsi e per dare un messaggio coraggioso e di speranza, doveroso per rispetto anche di tutte le maestranze del teatro e dei lavoratori dello spettacolo, si è pensato allora ad un concerto evento, titolato “A riveder le stelle”, che se da una parte consente di non mancare l’irrinunciabile appuntamento della Prima, dall’altra viene concepito come una serata pensata per la TV, per un pubblico che ovunque si trovi avrà sempre il punto di vista privilegiato di uno spettatore della prima fila di platea grazie, tra l’altro, all’ottimo lavoro di equipe tra regia video e audio dello spettacolo.
Linda Gennari, nel ruolo de La Musa, accoglie idealmente il pubblico e lo accompagna direttamente nel cuore della sala del Piermarini dove, sul palco in penombra, si trova l’attrice Maria Grazia Solano, abbigliata come operatrice dell’impresa di pulizie del teatro, che recita con struggente commozione i versi dell’inno nazionale (immancabile preludio di ciascuna inaugurazione scaligera) che verranno poi ripresi dal Coro del Teatro alla Scala (preparato dallo straordinario Bruno Casoni) distribuito, per assicurare il distanziamento, nella totalità dei palchi disposti su più ordini.
Lo spettacolo si propone come un vero e proprio flusso narrativo, grazie alla drammaturgia elaborata da Davide Livermore, Alfonso Antoniozzi, Andrea Porcheddu, Paolo Cucco, Gianluca Falaschi e Chiara Osella; in particolare, l’unitarietà e l’organicità della narrazione viene ottenuta mediante l’inserimento di testi, alcuni dei quali tratti da autori famosi quali Hugo, Racine, Montale, Pavese, Gramsci e Bergman, letti da alcuni volti noti, affiancati da giovani emergenti, del teatro di prosa e del cinema quali Massimo Popolizio, Caterina Murino, Laura Marinoni, Sax Nicosia, Giancarlo Judica Cordiglia e Michela Murgia. Una buona idea, appesantita però da una scelta di testi abbastanza sentiti ed abusati e da una retorica che nel complesso risulta stantia e populista.
Il progetto narrativo, dal punto di vista visivo, risulta accattivante e ben confezionato grazie all’ottimo lavoro del regista Davide Livermore coadiuvato dal suo team che tante volte lo ha affiancato in teatro: Gió Forma per le scene (cui ha lavorato anche lo stesso Livermore), Gianluca Falaschi per i costumi (in collaborazione con la Camera della Moda di Milano), D-Wok per le scenografie digitali e Marco Fillibeck per le luci.
La lunga carrellata di brani in programma prende avvio da Giuseppe Verdi e, nello specifico, dalle immortali melodie di Rigoletto: dopo il preludio, eseguito dall’Orchestra del Teatro alla Scala, disposta in modo da occupare per intero il grande spazio della platea, sotto la guida del Maestro Chailly cui viene affidata la conduzione di tutti i brani operistici della serata, il baritono Luca Salsi porta in scena con veemenza e disperazione il tormento emotivo del buffone protagonista dell’opera nella celeberrima aria “Cortigiani vil razza dannata”, contestualizzata in un’ambientazione cupa e degradata di sicuro effetto. Con “La donna è mobile” si chiude l’omaggio a Rigoletto nell’esecuzione del tenore Vittorio Grigolo che la affronta con generosità ed insolente spavalderia, mentre per tutta la sala sembra cadere delicata e lieve una pioggia di piume bianche (la prima di una lunga serie di scenografie digitali). La serata prosegue in omaggio al cigno di Busseto e con uno dei suoi vertici compositrici, il grand-Opéra Don Carlo. Questa volta la scena è un paesaggio innevato dove troneggia, ingombrante una sezione di un treno, splendido nella cura dei dettagli, che il pubblico scaligero ha già avuto modo di apprezzare nella produzione di Tamerlano nel 2017 firmata dallo stesso Livermore. Il basso Ildar Abdrazakov entra in scena con una vistosa pelliccia e, una volta salito sul treno, viene svelato allo spettatore l’interno di una elegante carrozza dove Filippo II esegue “Ella giammai m’amo’” con mestizia, accento regale, morbidezza del canto a fior di labbro ed assoluta padronanza del registro superiori, tali da configurare questo momento come uno dei più significativi di tutta la serata. Ludovic Tézier prosegue l’omaggio a Don Carlo con la pagina di Rodgrigo “Per me giunto è il dí supremo”: un’esecuzione maiuscola per eleganza del fraseggio, suggestivo impiego dei chiaroscuri e luminosità del registro acuto. Se per la grande scena di Rodgrigo è stato sfruttato lo spazio prospiciente il grande treno (con tanto di uccisione per mano del sicario), con l’aria “O don fatale”, riservata al personaggio della Principessa d’Eboli, si torna all’Interno delle carrozze dove Elina Garanča, in splendido abito rosa corallo, si aggira in preda al rimorso per il tradimento macchinato ai danni della regina. Esecuzione di ottimo livello quella del mezzo-soprano lettone, reduce dal successo di Cavalleria rusticana al Teatro San Carlo di Napoli di pochi giorni prima, nella quale si ammira il timbro chiaro, la pulizia su tutta la linea, la limpidezza del registro acuto e l’intensità interpretativa.
Ora l’ambientazione muta completamente e ci troviamo immersi in un tableau vivant che riproduce l’opera The singing Butler di Jack Vettriano, una scena che fa da sfondo all’aria “Regnava nel silenzio” da Lucia di Lammermoor eseguita da Lisette Oropesa, di folgorante bellezza nel suo abito da sera nero. Il soprano cubano, già previsto nel cast della Lucia inaugurale (anzi che sarebbe dovuta essere), è semplicemente perfetta: la voce corre con invidiabile souplesse tra le righe del pentagramma, le agilità sono precisissime, gli acuti (e sovracuti) fulminanti: rimane, ahinoi, il rimpianto di non averla potuta udire nell’intera esecuzione dell’opera (speriamo presto in ogni caso). Dai tormenti romantici di Miss Ashton alla tragedia giapponese: il brano successivo è il finale di Madama Butterfly qui interpretato da un’intensa, quanto seducente nel suo abito da sera blu notte, Kristine Opolais mentre sullo sfondo un gioco di ombre rappresenta il doppio della cantante omaggiando così il mondo del sol levante ove vive l’infelice Cio-Cio-San. Il programma del concerto prevede a questo punto “Winterstürme”, un brano celeberrimo tratto da Die Walküre di Richard Wagner, la cui esecuzione è affidata a Camilla Nylund e Andreas Schager; nel montaggio televisivo destinato alla rete ammiraglia Rai questo passaggio scompare e si scoprirà successivamente come questa scelta sia stata operata per contenere lo spettacolo in modo da rispettare la puntuale messa in onda del telegiornale della sera. Questa scelta ha determinato un pizzico di amarezza in quanto musicalmente rappresenta, con potenza sconvolgente, un inno alla Primavera, al rifiorire della Natura e della vita, un’allegoria che mai come in questo momento potrebbe essere un balsamo emotivo. Lo stesso brano è risultato visibile sin da subito, ad ogni modo, su RaiPlay. La scena appare nuovamente mutata e ripropone parte dell’impianto utilizzato, sempre da Livermore, in occasione del fortunato allestimento di “Don Pasquale” durante la stagione 2018 del teatro scaligero. Appare evidente e marcato in questa sede il riferimento al rapporto inscindibile tra teatro d’opera e cinema: sullo sfondo l’ingresso degli studi di Cinecittà fanno da cornice a vari personaggi presenti sulla scena e che rimandano, con i loro costumi ai principali protagonisti di alcuni film di Federico Fellini. Il soprano Rosa Feola entra in scena indossando un magnifico abito anni Cinquanta ed esegue con sopraffina maestria e spigliata leggerezza l’aria “So anch’io la virtù magica” da Don Pasquale di Gaetano Donizetti, cantando parte della stessa a bordo di un automobile decappottabile issata a mezz’aria mentre sullo sfondo scorrono immagini della Roma degli anni della Dolce Vita: momento teatrale impagabile. Si prosegue quindi nel segno di Gaetano Donizetti con un altro caposaldo romantico, l’aria “Una furtiva lagrima” da L’elisir d’amore qui eseguita dal tenore peruviano Juan Diego Florez, già annunciato come Edgardo nella mancata produzione inaugurale di quest’anno. Tale è la morbidezza dell’attacco dell’aria, lo smalto madreperlaceo del timbro e la passionalità del fraseggio, da ascrivere questo come un altro vertice musicale della serata. Si torna nuovamente a Giacomo Puccini e, mentre sullo sfondo, è riprodotta la Morte di Ofelia di Millais, il soprano Aleksandra Kurzak veste i panni di Liu’, un’altra donna dell’infelice destino per un amore impossibile, con un’esecuzione accorata dell’aria “Signore ascolta”.
In questa lunga serata dedicata al grande repertorio operistico non poteva mancare un omaggio alla musica francese e, in particolare, con uno dei titoli più amati e conosciuti di tutti i tempi: Carmen di Georges Bizet. Dopo lo sfavillante Preludio, eseguito dall’Orchestra del Teatro all Scala con brio e ottimo equilibrio tonale, entra in scena Marianne Crebassa, indossando un bellissimo abito rosso, cui spetta il compito di sedurre lo spettatore (oltre i mimi in scena) con un “Habanera” screziata da una vocalita’ capace di disegnare sfumature vellutate e suggestive. Un’altra pagina tratta da Carmen, “Le fleur que tu m’avais jetée”, per la quale torna alla Scala il tenore polacco Piotr Beczala con un’esecuzione sicura e ben riuscita grazie ad un fraseggio nobile ed appropriatezza stilistica. Un nuovo omaggio al cinema, questa volta Hitchcock con il film “Gli uccelli”, viene scelto da Livermore come sfondo per la scena di terzo atto di Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi con il susseguirsi di due arie “Morro’ ma prima in grazia” e “Eri tu che macchiavi quell’anima”. Eleonora Buratto infonde nel personaggio di Amelia la sua vocalità fresca e vellutata, luminosa specialmente nei registri centrale e di passaggio. Il baritono George Petean disegna, poi, un Renato corretto e credibile. Subito dopo la scena porta lo spettatore nello studio di Riccardo, protagonista de “Un ballo in maschera”, interpretato da Francesco Meli che fa sfoggio ancora una volta del suo caratteristico timbro solare e di un pregevole dominio tecnico su tutta la linea. Con la pagina successiva si torna al repertorio francese, “Pourquoi me révellier” da Werther di Jules Massenet, nell’interpretazione di Benjamin Bernheim, un’esecuzione esemplare per accento, equilibrio ed omogeneità tra i registri, eccellente impiego delle sfumature e dei chiaroscuri. Riuscitissimo il personaggio nella sua lacerazione interiore che si riflette anche nello struggimento scenico dell’interprete. Un nuovo omaggio a Giuseppe Verdi, questa volta con Otello, è affidato al baritono Carlos Álvarez, uno Jago, nella visione di Livermore, braccio destro del Presidente degli Stati Uniti d’America che sta tessendo una fitta ragnatela d’inganni volti a provocare la rovina del leader (in questa trasposizione il piano diabolico porterà alla distruzione della Casa Bianca la cui facciata sarà devastata da un incendio). Un’interpretazione pregevolissima grazie ad un fraseggio insinuante e strisciante, una grande varietà di colori vocali e un autorevole controllo delle dinamiche timbriche ai fini espressivi.
I due brani successivi, tratti da Andrea Chénier di Umberto Giordano, riportano al Piermarini Plácido Domingo, qui nell’oramai nota veste di baritono, e Sonya Yoncheva, tanto attesa come Fedora in nuova produzione prevista in Scala per la scorsa estate. Plácido Domingo, elegante in un bel completo scuro, esegue “Nemico della patria”’come se fosse un leader rivolto ad una variopinta ed eterogenea platea di uditori; mentre sullo sfondo scorrono ritratti di importanti personaggi che hanno lottato per la verità e la giustizia (su tutti Gandhi, Falcone e Borsellino), il tenore fa mostra ancora di una classe sopraffina e di un dominio della parola e del gesto scenico senza precedenti, poco importa se l’aspetto vocale lascia perplessi e non convince per più di una ragione. Sonya Yoncheva esegue subito dopo “La mamma morta” e mentre alle spalle del soprano si realizza un tableau vivant che riproduce la celebre opera “La libertà che guida il popolo” di Delacroix, il celebre soprano si fa apprezzare per il bel timbro vellutato. La parte finale del concerto è interamente dedicato a Giacomo Puccini: Tosca, Turandot e Madama Butterfly. Era tanta l’attesa per il ritorno di Roberto Alagna, scritturato nella produzione di Fedora come sopra ricordato, cui viene affidato uno dei brani più conosciuti e amati di tutti i tempi, “E lucevan le stelle” affrontato con struggente commozione e malinconica disperazione grazie ad un notevole controllo dell’accento, sullo sfondo una veduta di Castel Sant’Angelo (dipinta da Bernardo Bellotto). Con “Nessun dorma” torna sul palcoscenico Piotr Beczala (che sostituisce in questo brano l’annunciato Jonas Kaufmann) ed offre un’interpretazione composta ed elegante del brano, risultando convincente grazie ad un buon controllo su tutta la linea. In chiusura di questo tributo a Puccini, Marina Rebeka, che il pubblico scaligero ricorda per la trionfale Traviata del settembre scorso, affronta “Un bel dí vedremo” con raffinatezza, magistrale dominio tecnico ed omogeneità tra i registri. Il gala prevede altresì alcuni omaggi alla danza, “Adagio dal Grand pas de deux” da Lo schiaccianoci e “Verdi Suite” (ballabili da I Vespri siciliani, Jérusalem, Il Trovatore) che impegnano grandi star della danza, protagoniste di performance eccellenti, quali Nicoletta Manni, Timofej Adrijashenko, Martina Arduino, Virna Toppi, Claudio Coviello, Marco Agostino e Nicola del Freo; l’accompagnamento musicale di questi brani avviene ad opera dell’Orchestra del Teatro alla Scala diretta dal Maestro Michele Gamba. Menzione d’onore, ovviamente, per Roberto Bolle, protagonista, in “Waves” di un mirabolante e pirotecnico duetto con fasci di luce laser che mettono in evidenza tutta la plasticità e le armoniche proporzioni del suo fisico atletico.
In conclusione di serata, un monologo da parte dello stesso Livermore sul potere taumaturgico della musica quale segnale di speranza per l’umanità, un valore di bellezza, di coraggio e di sprono per la rinascita di ognuno di noi, come accaduto ad esempio in occasione del concerto che ebbe luogo proprio al Teatro alla Scala dopo la Seconda Guerra Mondiale diretto da Arturo Toscanini. Viene quindi eseguito il finale dell’opera Guglielmo Tell di Gioachino Rossini “Tutto cangia il ciel s’abbella” e mentre le voci di Eleonora Buratto, Rosa Feola, Marianne Crebassa, Juan Diego Florez, Luca Salsi e Mirco Palazzi si rincorrono amabilmente e si intrecciano nelle note del pentagramma, scorrono sullo sfondo le immagini di una Milano notturna, vuota e racchiusa nella sua desolata ed imponente bellezza artistica e monumentale. Un momento musicalmente e visivamente toccante e commovente.
Per completare la cronaca della serata manca all’appello un’altra voce, quella registrata su disco del soprano Mirella Freni, scomparsa nel febbraio 2020, che con l’aria “Io son l’umile ancella” dall’opera Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, vuole testimoniare la bellezza eterna di un’arte immortale e di una delle voci più belle di sempre.
Un’inaugurazione particolare, sui generis, e si spera unica nel suo genere perché lo spettacolo dal vivo necessita del pubblico, vive e palpita con la sala, la sua esecuzione a porte chiuse, per quanto perfetta a livello visivo e sonoro, non potrà mai sostituire l’emozione vissute dal vivo. Noi tutti speriamo di tornare al Piermarini quanto prima e di prendere parte di quel rito sacro e insostituibile che è lo spettacolo d’opera.
A riveder le stelle (streaming)
Teatro alla Scala, 7 dicembre 2020.
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala Direttore Riccardo Chailly; Direttore per il Balletto Michele Gamba; Maestro del Coro Bruno Casoni
F. Cilea – “Io son l’umile ancella” da Adriana Lecouvreur – Registrazione
Inno di Mameli
G. Verdi – Preludio da Rigoletto
G. Verdi – “Cortigiani vil razza dannata” da Rigoletto – Luca Salsi
G. Verdi – “La donna è mobile” da Rigoletto – Vittorio Grigolo
G. Verdi – “Ella giammai m’amò” da Don Carlo – Ildar Abdrazakov
G. Verdi – “Per me giunto” da Don Carlo – Ludovic Tézier
G. Verdi – “O don fatale” da Don Carlo – Elīna Garanča
G. Donizetti – “Regnava nel silenzio” da Lucia di Lammermoor – Lisette Oropesa
G. Puccini – “Tu, tu piccolo Iddio” da Madama Butterfly – Kristine Opolais
R. Wagner – “Winterstürme” da Walküre – Camilla Nylund, Andreas Schager
G. Donizetti – “So anch’io la virtù magica” da Don Pasquale – Rosa Feola
G. Donizetti – “Una furtiva lacrima” da Elisir d’amore – Juan Diego Flórez
(Ballo) Lo Schiaccianoci – Adagio dal Grand pas de deux, Atto II con Nicoletta Manni e Timofej Adrijashenko
G. Puccini – “Signore ascolta” da Turandot – Aleksandra Kurzak
G. Bizet – Preludio da Carmen
G. Bizet – “Habanera” da Carmen – Marianne Crebassa
G. Bizet – “La fleur que tu m’avais jetée” da Carmen – Piotr Beczala
G. Verdi – “Morrò, ma prima in grazia” da Un ballo in maschera – Eleonora Buratto
G. Verdi – “Eri tu” da Un ballo in maschera – Geroge Petean
G. Verdi – “Ma se m’è forza perderti” da Un ballo in maschera – Francesco Meli
J. Massenet – “Pourquoi me réveiller” da Werther – Benjamin Bernheim
“Waves” – Ballo con Roberto Bolle
(Ballo) “Verdi Suite” – Estratti dai ballabili da I Vespri siciliani, Jérusalem, Il trovatore –Coreografia Manuel Legris con Martina Arduino, Virna Toppi, Claudio Coviello, Marco Agostino, Nicola Del Freo
G. Verdi – “Credo” da Otello – Carlos Álvarez
U. Giordano – “Nemico della patria” da Andrea Chénier – Plácido Domingo
U. Giordano – “La mamma morta” da Andrea Chénier – Sonya Yoncheva
G. Puccini – “E lucevan le stelle” da Tosca – Roberto Alagna
G. Puccini – “Nessun dorma” da Turandot – Jonas Kaufmann
G. Puccini – “Un bel dì vedremo” da Madama Butterfly – Marina Rebeka
G. Rossini – “Tutto cangia”, finale da Guglielmo Tell – Eleonora Buratto, Rosa Feola, Marianne Crebassa, Juan Diego Flórez, Luca Salsi, Mirko Palazzi