Intervista a Silvia Beltrami e a Marco Filippo Romano
Abbiamo il piacere di incontrare virtualmente il mezzo soprano Silvia Beltrami e il basso Marco Filippo Romano, coppia artistica affermate nell’attuale panorama operistico ma anche coppia nella vita.
Silvia, Marco, la nostra intervista non può non partire dalla drammatica situazione che il mondo intero sta vivendo per l’emergenza sanitaria in atto. Diverse attività produttive sono state chiuse temporaneamente e anche i teatri hanno subito un’improvvisa quanto dolorosa battuta d’arresto nelle stagioni d’opera. Qual è il punto di vista di un artista in questo contesto? Cosa pensate che accadrà nel mondo della musica dopo la pandemia?
Tornando indietro di qualche mese, non possiamo pensare ai momenti di festa, momenti di condivisione con gli amici e colleghi, i progetti e lo studio per questo nuovo anno artistico… ma poi qualcosa che nessuno vede e sente arriva all’improvviso così da un giorno all’altro vengono interrotte le produzioni, i teatri chiudono, sbarrati i loro portoni ed arriva il silenzio. Così le nostre vite di donne e uomini ma anche di artisti cambiano e ci costringono a casa lontani dai nostri affetti e in questo rientra anche il pubblico. Abbiamo comunque la speranza ed anche la consapevolezza che tornati alla normalità tutti avremo bisogno del “bello” quindi divoreremo arte e musica, certo si dovrà studiare almeno per i primi tempi come mantenere le dovute distanze di sicurezza ma si deve tornare a fare arte dal vivo… Purtroppo i bellissimi streaming delle opere non posso trasmette la stessa emozione ma ci tengono compagnia. Va detto che in questo periodo tutti ci ingegniamo con i social per tenerci compagnia, per esempio abbiamo creato un appuntamento quotidiano “L’Ora d’Arie e Duetti” dove ogni giorno si scherza e si invitano tanti amici/colleghi per regalarci un’aria o un duetto dell’opera del giorno.
Silvia, la tua carriera ha mosso i primi passi dopo la formazione con William Matteuzzi e Raina Kabaiwanska, due grandi artisti che hanno brillato rispettivamente nel repertorio del belcanto e in quello lirico-verista. Quanto hanno influito i loro insegnamenti sulla scelta del tuo repertorio? E quali consigli sono stati per te più preziosi?
Due importanti artisti, due stelle ognuno nel proprio repertorio, incontrati in momenti diversi della mia carriera. Sono certa che qualsiasi sia il repertorio una base tecnica belcantista ci permette di affrontare un ruolo in maniera più consapevole. Nella mia prima fase quindi insieme al Maestro Matteuzzi abbiamo affrontato ruoli che mi hanno accompagnato per diversi anni, penso ai ruoli contraltili rossiniani o alle antagoniste donizzettiane.. E’ arrivato un giorno quando la mia voce, con qualche anno di esperienza, trovava comodità in ruoli più romantici e veristi e lì che ho incontrato la Sig.ra Kabaivanska che con la sua visione di canto ha aggiunto degli “ingredienti” importanti che mi hanno permesso di affrontare Amneris, Azucena, Santuzza e tante altre grandi eroine. Se dovessi pensare a due parole che racchiudono l’eredità dei loro insegnamenti potrei dire: Matteuzzi LEGGEREZZA e ACUTI; Kabaivanska SPAZIO.
Marco Filippo, il tuo studio del canto è iniziato dopo aver conseguito il diploma in corno al conservatorio Bellini di Palermo. Hai mai pensato di proseguire la carriera come orchestrale? E che cosa ti ha fatto decidere invece di seguire la strada del canto?
Lo studio del canto è arrivato durante gli ultimissimi anni dello studio nel corno, per un periodo hanno convissuto e lottato… Ma il mio canto deve tanto al corno, in primis per il fiato, la base per un canto sano ed io l’ereditavo da anni di studio sullo strumento e poi il fraseggio. Infatti il corno che ha questo suono molto simile al baritono, morbido e vellutato e sostenuto dalla colonna d’aria, insomma cantavo prima di sapere cosa fosse cantare. Ricordo che il giorno del mio diploma, il commissario esterno, al quale avevano raccontato che io già muovevo i primi passi nella lirica mi chiese se ero veramente convinto di intraprendere la carriera di cantante e non quella di orchestrale, devo confessare che già allora la mia idea era chiara ed il mio “egocentrismo” mi spingeva a stare sul palco sotto le luci e non sotto il palco nella penombra o forse ero consapevole di avere una marcia in più come cantante.
Silvia, tutti gli appassionati ti conoscono per le tue interpretazioni appassionate e volitive di grandi personaggi verdiani -citiamo per tutte Amneris nell’Aida, Azucena nel Trovatore ed Eboli nel Don Carlo – o del repertorio verista come ad esempio Santuzza in Cavalleria. Ma la tua formazione belcantista ti ha portato ad affrontare anche ruoli del primo Ottocento e più specificatamente del catalogo rossiniano, donizettiano e mozartiano. Esistono delle affinità tecniche ed interpretative tra i vari compositori? E quali sono invece le principali differenze?
Come accennato nella risposta precedente per me il canto è uno. Si può discutere di potenza o di fraseggio. Faccio un esempio che potrebbe calzare: correre e camminare implicano uno stesso gesto, ma la differenza sta nella “falcata” e nella velocità con cui si ripete quest’ultimo, i muscoli che si muovono e lavorano sono gli stessi ma la potenza cambia. Ecco portato nel canto possiamo quindi dire che si canta Verdi e Donizetti con la stessa muscolatura, altrimenti è come se uno camminasse in un modo e nella corsa facesse dei saltelli. La corretta tecnica permette di cantare Rossini in maniera corposa e con il suono ben appoggiato mentre Verdi o il verismo con impeto ma con un suono sempre a fuoco e controllato.
Marco Filippo, la tua carriera si è rivolta sopratutto al repertorio buffo raggiungendo, tra l’altro, risultati particolarmente significativi nei personaggi rossiniani. Qual è la sintesi, secondo la tua opinione, dello stile rossiniano? E cosa significa affrontarlo a Pesaro o Wildbad e nel resto del mondo?
Definire lo stile rossiniano non è facile, posso però dire ciò che sono le mie caratteristiche, le stesse che mi hanno portato ad essere un rappresentante di questo stile e dei ruoli di buffo. Far capire le parole, ecco la dizione o meglio la parola sostenuta nella linea di canto ma allo stesso tempo ben scandita è una prerogativa del Belcanto, poi ci sono le agilità, i sillabati (propri dei miei ruoli), la proiezione del suono che non è il famoso “tonnellaggio” richiesto in repertori più romantici. Questo l’ho capito con l’esperienza, mi trovavo sempre durante le musicali dei partner soprano che in sala prove sembravano voci non particolarmente “grandi” ma che poi in teatro si espandevano perché avevano quella brillantezza tipica di questo repertorio. Affrontare Rossini da Italiano è motivo di orgoglio, nello specifico torno ai miei ruoli, che non me ne vogliano i grandi colleghi stranieri, ma sono prerogativa di chi è madrelingua perché per far capire tutte le parole di un sillabato si deve rischiare di perdere la dentiera.. e poi la comicità deve essere quella ereditata dai Casaccia o dal teatro di Goldoni.
Silvia, le eroine verdiane del tuo repertorio: rivali in amore (Amneris ed Eboli), madri combattive (Azucena) o astute confidenti (Mrs. Quickly nel Falstaff e forse la stessa Ulrica nel Ballo in maschera). Esiste un filo rosso che accomuna queste eroine? Quali sono, nella tua opinione, le caratteristiche dello stile verdiano?
Donne forti, piene di temperamento non certo figure angeliche, bensì donne maltrattate dall’amore o dalla sorte, che reagiscono nel momento opportuno, magari Quickly non proprio come le altre ma sicuramente la prima che senza timore alcuno entra nella tana del tremendo Falstaff. Tanti si chiedono quale sia lo stile verdiamo e tanti hanno sempre provato a dare una definizione, se esiste dunque uno stile Verdiano sicuramente sarà quello del canto legato, della nota dentro l’altra. Allo stesso tempo bisogna dare importanza al testo, alla metrica del libretto o porre il giusto accento su una parola dal significato forte, tutte cose che Verdi scrive nel suo spartito.
Marco Filippo, tra gli spettacoli che ti hanno visto trionfare recentemente qui in Emilia ricordiamo il Fra’ Melitone nella produzione de La forza del destino del 2019. Qual è il tuo approccio nell’affrontare un personaggio verdiano venendo da un’assidua frequentazione del repertorio belcantista?
Fra Melitone, come dimenticare quel debutto e come dimenticare le settimane di studio prima di affrontarlo. Sono partito dall’analisi del ruolo, prima di cantarlo mi sono posto alcune domande: chi era Melitone per Verdi? che voce voleva? chi è stato il suo primo interprete? Melitone nella storia che ruolo ha? Dopo aver cercato di rispondere a queste domande ho messo la mia voce e la mia tecnica al servizio del ruolo, ne è uscito un discreto risultato di pubblico e critica. La più grande differenza sta nel modo di fraseggiare, il canto rossiniano è come un panino con del cioccolato spezzettato dentro, il canto verdiamo come un panino con dentro della crema al cioccolato. Devo anche ringraziare gli artisti che mi hanno aiutato in questo studio ed il Direttore del mio debutto. Va detto che sono un baritono puro, che vocalmente ha caratteristiche più vicine a Melitone che Geronimo (Matrimonio Segreto), ma che sfrutta ora in questo repertorio più la voce ora nell’altro più la parte attoriale, non vorrei sembrare immodesto ma se c’è un buffo con una bella voce da baritono ben venga. Ricordo a tal proposito quando tanti anni fa ad un concorso di canto un membro della giuria mi disse tu sei un Belcore con la verve di Dulcamara…
Esiste un’opera che vorreste cantare insieme? E in un gioco dell’impossibile: Silvia quale ruolo da basso buffo vorresti affrontare e per quale ragione? Marco Filippo quale sarebbe il tuo ruolo mezzosopranile ideale e per quale motivo?
Tante volte ci hanno posto questa domanda e con piacere rispondiamo che in assoluto l’opera che vorremmo cantare insieme è Falstaff. Soltanto per scherzare durante il famoso duetto, curiosità, per chi non lo sapesse, la nostra bassotta si chiama Quickly. Silvia: un ruolo che canta mio marito e che mi piacerebbe fare è Don Magnifico così potrei maltrattare le mie colleghe mezzosoprano… naturalmente scherzo, lo farei perché è un ruolo davvero divertente. Marco: Il ruolo che in un gioco dell’assurdo, vorrei cantare è Amneris… Amo quell’opera e quel ruolo, se sono libero non mi perdo una recita di Aida di Silvia. Grande carattere e un canto di una forza pazzesca.
Nella vita di tutti i giorni, cosa significa essere una coppia di artisti? Vi aiutate reciprocamente nello studio e nella preparazione dei ruoli? Come è possibile conciliare impegni di lavoro che vi vedono viaggiare continuamente con la vita di coppia?
Essere una coppia di artisti ha i suoi pro ed i suoi conto, anzi un solo contro quello della lontananza in alcuni momenti, ma i pro sono molto più importanti. Capirsi, sostenersi, aiutarsi tre azioni fondamentali in un rapporto fra colleghi e partner. Siamo l’orecchio esterno reciproco, una coppia può dirsi le cose senza filtri e con il massimo della verità ed è una cosa molto importante, ma attenzione bisogna aver tatto siamo pur sempre artisti e da buoni artisti non ci piace essere troppo criticati… ahahah.Troviamo sempre modo di raggiungerci nei giorni di inattività, quindi si finisce per vivere la musica quasi tutto l’anno.
FOTO FORNITE DAGLI ARTISTI