Interviste 2020

Coronavirus: le condivisioni dei direttori d’orchestra

Per la prima volta nella storia l’intero pianeta si è fermato, ogni paese sta affrontando una terribile emergenza sanitaria e nello stesso momento, in ogni dove, tutto è chiuso. Situazioni di forte dolore, di grave perdita ed enorme paura stanno colpendo tutte le persone, le famiglie, intere popolazioni.
Mai prima d’ora la cultura ha avuto un ruolo così essenziale: un buon libro, un bel film, un concerto, un’opera lirica, una visita virtuale a una mostra o un museo stanno diventando un ingrediente essenziale per la dieta quotidiana, al fine di poter ancora sognare in un mondo fatto di umanità e sentimenti oltre le mura domestiche. In questo frangente l’arte è una medicina per la mente, ma gli artisti e i lavoratori autonomi del mondo dello spettacolo stanno vivendo una forte criticità a livello economico. Qual’è la prospettiva? Questa situazione potrà essere il volano per intraprendere le azioni necessarie per rilanciare il settore? Cosa ci si può aspettare alla fine della pandemia?

Rinaldo_Alessandrini
Rinaldo Alessandrini

RINALDO ALESSANDRINI – Personalmente credo che la dimensione dell’evento che tutti stiamo vivendo ci pone essenzialmente una domanda bifronte: cosa era buono e cosa no prima del virus, cosa sarà buono e cosa no dopo il virus.
In questi giorni alcuni di noi hanno dovuto vivere vicende umane particolarmente dolorose. Anche lo stato di precarietà professionale ed economica, che è conseguito alle misure sanitarie, può risultare per alcuni di noi difficilmente vivibile e gestibile, sia materialmente che psicologicamente. Poco ci consola il fatto di essere accomunati da un destino comune. Ma credo sia necessario, oggi più che mai, sentirsi parte di una umanità globale, che affronta un evento totalmente imprevisto e assai complesso nelle sue conseguenze fisiche e psicologiche. A tutti va il mio migliore augurio, di poter far fronte a qualsiasi difficoltà stiate vivendo con la più positiva delle attitudini.
Relativamente al nostro futuro, in questi giorni ho potuto parlare con molti miei colleghi, direttori, cantanti, orchestrali: tutti stanno vivendo, come è naturale ed umano che sia, una quotidianità difficile e preoccupante, tra cancellazioni e inevitabili incertezze riguardanti il futuro. Ma il nostro oggi, per quanto opprimente, non deve esimerci dal pensare già da ora a quello che verrà. Anzi, trovo sia fondamentale contestualizzare le perdite odierne a un periodo transitorio della nostra vita e cercare di concentrarci su quello che potrebbe essere il futuro del teatro, della musica e dell’arte in generale, quando ritorneremo tutti quanti alle nostre occupazioni.
Per questo mi permetto una sola riflessione, forse ancora acerba, ma a mio parere essenziale. Il nostro mercato uscirà da questo periodo sicuramente trasformato, nella quasi totalità dei suoi aspetti. Ripeto: nella “quasi” totalità. Non sappiamo come. Sappiamo però che non sarà certamente possibile rientrare nelle nostre abitudini, buttandoci alle spalle queste giornate come fossero state solo un brutto sogno. Avremo tutti a che fare con riprogrammazioni artistiche ed economiche, ci troveremo di fronte a proposte e discorsi che ci parranno frustranti e inquietanti. Ma si dovrà fare i conti con una nuova realtà, soprattutto se si vorrà che le nostre vite ripartano rapidamente. Vorrei però evocare la possibilità che possa scattare qualcosa di molto simile a una solidarietà di settore, una solidarietà che possa evitare nella misura maggiore possibile gli squilibri che una ripresa lenta e faticosa comporterà. Alludo al fatto che la torta, che sarà di molto ridimensionata, sia divisa in modo da restituire vita alla totalità di mondo lavorativo che oggi vediamo in grave pericolo.
Tutti sappiamo come e quanto le macchine produttive che ci hanno visto impegnati professionalmente fino a pochi giorni fa, possano perdere soldi e ingenti risorse senza porsi troppi problemi o reticenze. Cattiva gestione, manie di grandezza, piani di produzione inutilmente bulimici o inspiegabilmente incongrui, incapacità di focalizzare le reali esigenze lavorative di uno spettacolo e di formulare soluzioni rapidamente efficaci. Decine e decine di parametri lavorativi e di produzione devono poter essere ricalibrati per giustificare, da oggi in poi, la spesa ragionata e ragionevole di ogni singolo euro. Il massimo della resa unito alla massima capacità gestionale e di valorizzazione delle risorse. E ad ognuno di noi il compito di collaborare e vigilare in questa direzione, perché i nostri teatri e le nostre sale possano riempirsi di nuovo e renderci orgogliosi del nostro lavoro e del contributo che potremo dare alla società.
Credo però non potremo aspettarci che qualcuno sopra di noi metta in essere un sistema di produzione nuovo e virtuoso. Personalmente non ho buone sensazioni e riscontri. Spero che tutta la categoria sappia sommare le singole voci, agendo affinché la vita e il lavoro dei teatri riprenda in trasparenza, reale senso pratico, oculata gestione. Non so come. Ma sarebbe già un buon punto di partenza se le nostre visioni circa l’eticità dell’ambiente lavorativo che ci circonda, fossero focalizzate tutte verso lo stesso obiettivo. Si tratta di salvare i teatri, le sale da concerto, che sono state e dovranno ancora essere il luogo dove noi potremo contribuire alla rinascita in meglio di questo paese.
In quanti saremo in grado di opporre i giusti argomenti e le giuste lamentele di fronte alla ripresa dei vizi e delle inefficienze che tutti conosciamo? In quanti saremo in grado di rendere evidente e tangibile la comprensione di un momento chiave per la sopravvivenza delle arti in Italia, mettendo da parte i transitori interessi individuali e investendo in un rinnovamento profondo del tessuto produttivo e gestionale? A questo scopo non è necessario ribadire che l’Italia è il paese dell’opera e un paese di cultura musicale di grande livello. Questo lo sappiamo tutti.
Dobbiamo piuttosto vigilare perché lo resti e perché il significato della musica cessi di essere considerato decorativo o di rappresentanza, ma cominci a mostrare, oggi più che mani, con quale incisività il nostro lavoro può contribuire alla qualità della vita di tutti, culturalmente, socialmente ed economicamente. Per questo motivo dovremo dare al pubblico una rinnovata immagine della nostra funzione e delle nostre professioni. Stimolare una fedeltà che non sia solo relativa alle nostre voci, alle nostre bacchette, ma soprattutto alla capacità moralmente e socialmente collante del nostro lavoro, dei nostri spettacoli e dei nostri concerti e al loro significato formativo e culturale. È questa una grande responsabilità e un’occasione importantissima che non deve andare perduta. Differentemente lasceremo il nostro paese interamente al calcio e alla pizzerie.

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Andrea Battistoni

ANDREA BATTISTONI – In tutta franchezza, non so cosa aspettarmi al termine dell’emergenza che tutti ci coinvolge. Un commento ottimistico potrebbe forse rassicurare e dare qualche barlume di speranza in un momento così delicato, ma, se da un lato, per carattere, sono sempre portato a confidare nel futuro, dall’altro canto intravedo all’orizzonte enormi problemi per il nostro delicatissimo settore. Questo virus ci colpisce nelle relazioni sociali, col dover mantenere le distanze gli uni dagli altri. Se viene a mancare la condivisione fisica, il teatro è per me impensabile.
Io e i miei colleghi direttori non possiamo nemmeno concepire la nostra professione: non ci mancano certo tempo e desiderio di studiare, di approfondire la musica o le partiture che amiamo, di suonare i nostri strumenti; ma la nostra attività principale è la condivisione del far musica con molti altri musicisti, orchestre e cori coi quali collaboriamo per dare ogni volta nuova vita al miracolo della musica d’insieme, da condividere con un pubblico di quante più persone possibile. Qualcosa di assolutamente impensabile oggi, laddove anche il semplice stare nella stessa stanza in un luogo pubblico diventa fonte di inquietudine e ansia.
In questo periodo di isolamento ci vengono certamente in aiuto registrazioni e streaming, splendidi palliativi ma, in fin dei conti, surrogati dell’esperienza reale dell’andare a teatro: una soluzione temporanea, insomma, dal potenziale divulgativo e consolatorio, la curiosità del momento, ma dubito un’efficace mezzo per proseguire le attività future dei teatri. Ora è, forse, semplicemente, il tempo della riflessione. Non trovo necessariamente un male che gli strumenti, per il momento, tacciano. In un’Italia che troppo spesso si è dimenticata del proprio patrimonio musicale, un silenzio forzato potrebbe anche fare bene, risvegliare un sincero desiderio di bellezza. Eppure, con teatri e orchestre chiuse, all’orizzonte vedo parecchie nubi pericolose: c’è sempre chi al silenzio si abitua fin troppo facilmente…
Quando l’emergenza sarà passata ci vorrà certamente del tempo per tornare alla normalità. Con la possibilità di riappropriarsi di spazi pubblici da vivere tutti insieme, vedremo in quali forme e modi, potremo allora cominciare a ipotizzare la ripresa delle attività musicali. Che sarà graduale, passo per passo, forse per pochi. Penso a Stravinsky, all’indomani della rivoluzione russa e nel pieno della Prima Guerra Mondiale: un compositore noto per le sue ciclopiche partiture coloratissime che non ha più le risorse umane e pecuniarie per mettere in scena i voli della sua fantasia. Ecco allora che si arma di ingegno e scrive quel capolavoro che è l’Histoire du Soldat, e porta in tour il suo carro di Tespi, un piccolo ensemble, per la Svizzera. Con l’ingegno di tutti, domani vedremo nascere nuove forme di teatro e nuovi capolavori; sul ruolo degli operatori culturali, degli artisti, del direttore d’orchestra saremo allora chiamati tutti ad interrogarci, con cambiamenti che forse, fino a ieri, sembravano pura fantasia distopica.

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Matteo Beltrami

MATTEO BELTRAMI – Per quanto improvvisi, dolorosi e insormontabili, tutti i problemi possono essere vissuti, dal singolo individuo così come dalla collettività, come opportunità per crescere. Cercare di analizzare lucidamente e freddamente questa situazione per trovare dei punti fermi e, magari qualche lato positivo da cui ripartire, non vuol dire sminuirne la portata tragica né mancare di rispetto alle migliaia di vittime. In un mondo abituato ormai a pensare a lungo termine, nel quale una gran parte di popolazione, avendo sempre avuto garantito non solo l’oggi, ma anche l’immediato futuro, è abituata a fare progetti a lunga scadenza, si è presentata un’evenienza capace di rimettere immediatamente e improvvisamente in discussione tutto. Una “morte” a cui però i più sopravvivranno e per i quali trovarne un senso può realmente significare ricominciare rivedendo le proprie priorità, i propri fini e valutando nuovi e forse più sostenibili mezzi per realizzarli. In questi mesi di emergenza Covid-19 si sono palesati molto chiaramente due comportamenti diametralmente opposti: chi è stato capace di dimenticare momentaneamente il proprio ego mettendosi a disposizione del prossimo nelle forme e nei modi che la propria competenza, cultura e sensibilità permettevano e chi al proprio ego non ha saputo rinunciare cercando meschinamente ogni piccola occasione per volgere a proprio favore, anche se a danno di altri, questa crisi. Questo è avvenuto e avviene tuttora e chiunque può trovare decine di esempi in tutti i settori e livelli.
Non andranno diversamente le cose quando verrà il momento di ripartire: ci sarà chi scalpiterà e agiterà le mani per arraffare quanto più possibile e chi, al contrario, si volgerà intorno cercando altre braccia con cui costruire un futuro diverso. In questo, forse, noi artisti siamo più fortunati perché, da questa drammatica situazione, abbiamo imparato che, per quanto il nostro talento possa essere di rilievo, la nostra bravura indiscutibile e il nostro ego smisurato, da soli non bastiamo a noi stessi. È vero: spesso su quel podio o sul palcoscenico, ci siamo sentiti divinità, oggetto dell’attenzione di tutti, ma in questo momento siamo chiusi in casa, impauriti e travolti da mille pensieri esattamente come la maggior parte delle persone. Non ho la sfera di cristallo e non posso sapere se le politiche e i governi futuri prenderanno a cuore la nostra situazione, che ha rivelato in questo periodo storico le criticità di una professione in cui le responsabilità sono di gran lunga superiori ai privilegi. Sono però certo che, quando rimetterò piede in un teatro, troverò un ambiente migliore. In questi giorni non mi è certo mancato il tempo di leggere i giornali, curiosare tra i post e i commenti sui social, ricevere messaggi privati e conversazioni telefoniche con amici e colleghi; tutti non vediamo l’ora di incontrarci di nuovo, affollare i nostri luoghi di cultura e tornare a fare musica. Insieme.

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Giampaolo Bisanti

GIAMPAOLO BISANTI – Il momento è forse il più complicato che gli uomini, tutti, si siano mai trovati ad affrontare. È un momento di disperazione per la situazione sanitaria che ogni giorno ci procura un bollettino di “guerra” funesto e terribile. È un momento a cui, abituati come eravamo a correre e a non fermarci mai, non eravamo pronti. Eppure il mondo si è dovuto fermare. Il mondo ha dovuto fare i conti con ciò che non può vedere e che lo sta mettendo in difficoltà. Il mondo è rimasto immobile e impotente. Il mondo piange i suoi morti. Il mondo combatte per salvare il salvabile e correre ai ripari di una crisi economica e sociale senza precedenti.
Noi regaliamo sorrisi, ma questo non è il momento di sorridere. Noi doniamo felicità e amore, ma questo non è il momento in cui si possa provare gioia e l’amore deve essere tutto rivolto ad aiutare gli altri.
Verrà un giorno per la ripartenza anche se ritengo, ahinoi, che il nostro settore potrà rivedere la “normalità” solo quando sarà stato distribuito un vaccino o non si saranno scoperte delle cure efficaci che possano evitare alla malattia di degenerare. Fino a quel momento chi si assumerà la responsabilità di trasformare i Teatri o le sale da concerto in potenziali “focolai”? Come si potranno garantire gli standard di sicurezza per i lavoratori del Teatro? E poi, siamo sicuri che il pubblico vorrà tornare a frequentare i Teatri fin quando non sarà sicuro di poter contare su un vaccino in caso di eventuale contagio? Io credo che dovremo stringere i denti fino alla risoluzione scientifica di questa situazione; forse otto mesi, forse un anno… prima, ho timore, che le cose non potranno risolversi…
Quando questa nuvola sarà passata, però, sono sicuro che saremo cambiati. Saremo migliori, avremo più energia, saremo più consapevoli, saremo più entusiasti e ci godremo nuovamente le meraviglie che la musica ci ha sempre donato. Le gusteremo con maggior attenzione; le ameremo con maggiore slancio; le offriremo al pubblico con maggiore generosità.

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Daniele Callegari

DANIELE CALLEGARI – La cultura… quante volte ho sentito nominare questa parola! Cultura come nutrimento dell’anima, medicina della mente, elevazione spirituale, eccetera, eccetera, eccetera… Forse quello che veramente manca è la cultura della cultura stessa e non mi riferisco agli artisti che con tanta devozione affrontano e applicano quotidianamente quello che hanno appreso sin dai primi anni di Conservatorio, ma alla consapevolezza da parte della classe politica di tutte le generazioni presenti e passate che, a parte qualche rara eccezione, non ha saputo mettere tra i primi posti i valori che essa stessa significhi per la collettività.
La pandemia ha provocato una enorme “livella” dove tutti indistintamente subiscono dei danni enormi ma il più grande di tutti è sicuramente quello di non poter avere una vita normale, dove per normalità si intende la possibilità di stare vicini. Non sono né ottimista né pessimista ma realista e quindi fino a quando la scienza non ci darà un vaccino dovremo forzatamente cambiare il nostro modo di vivere, ciò non toglie che non si possa reinventare, temporaneamente, il modo di fruire la musica dal vivo.
Fortunatamente stiamo andando verso la bella stagione e in Italia vantiamo una innumerevole quantità di posti meravigliosi dove poter immaginare di organizzare, ovviamente con il benestare della comunità scientifica e prendendo tutte le precauzioni necessarie, dei concerti sinfonici, balletti e opere, anche in forma di concerto. L’importante è ricominciare, perché lo streaming non potrà mai donare al pubblico quelle emozioni che solo le esecuzioni dal vivo possono regalare e gli artisti avranno la (quasi) certezza di ricevere i loro compensi perché se aspettiamo i governi sarà vana l’attesa.

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Francesco Ivan Ciampa

FRANCESCO IVAN CIAMPA – “Tendono alla chiarità le cose oscure, / si esauriscono i corpi in un fluire / di tinte: queste in musiche”. Le sublimi parole di un grande poeta, mai come oggi, risuonano nel mio cuore. Dovrebbero essere scolpite e impresse nelle nostre anime.
Il momento che siamo chiamati a vivere e imprimere nella storia, impone grandi riflessioni, grandi sforzi. Le rinunce, le difficoltà, lo stato di attesa e sospensione creano in ognuno di noi insofferenza e disagio. Ed è proprio per questo che è necessario concentrarsi sulla nostra nuova rinascita. È la nostra occasione per scavare in profondità, ritrovare noi stessi, la nostra umanità.
Mio papà, Claudio, fin da piccolo mi ha sempre ricordato una cosa fondamentale: i dottori curano i corpi, gli artisti curano le anime. Nulla più dell’arte è capace di dare forza e speranza; scintilla e slancio vitale. Sempre, in qualsiasi condizione, tempo storico e luogo. Ed è proprio questo che auspico per il post pandemia. Ci sarà bisogno di tanta arte, di tanta passione e tanti, tantissimi artisti. Abbiamo bisogno di ricolorare il nostro mondo, la nostra esistenza. Spero solo che si capisca, come sempre è accaduto nella storia, che sarà indispensabile e necessario investire sull’arte e la cultura. Oggi sulla sanità, domani sulla cultura.
C’è solo bisogno di essere forti, di non perdere di vista l’obiettivo: giungerà finalmente il giorno in cui noi tutti potremo finalmente ri-“portare” il “girasole impazzito di luce”.

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Francesco Cilluffo

FRANCESCO CILLUFFO – Uno dei tanti lati affascinanti del mio mestiere è l’alternanza tra lo studio solitario, privato, di un’opera e il momento delle prove e delle recite, passando dall’essere soli a casa all’ essere in mezzo a più di cento persone per far musica. Sul mio tavolo, mentre studio e faccio segni colorati sulle partiture, sono abituato a immaginare visivamente gli orchestrali e i cantanti che mi troverò davanti; una sorta di interazione potenziale e immaginata che prima o poi (a volte anche anni dopo, rispetto allo studio) si tradurrà, nel mondo reale, nel fare musica insieme.
Oggi è proprio quella seconda fase che è impossibile realizzare: aprire la porta verso il mondo esterno dopo averla chiusa per studiare, aprire la porta per condividere le proprie scoperte con i colleghi musicisti. Ci troviamo un po’ come Mosè sul Sinai, da soli a comunicare con il creatore, ma al momento di “scendere dalla montagna” a portare le tavole della legge non troviamo il popolo, bensì il silenzio e la morte.
Lascio volentieri le previsioni e le considerazioni tecniche a chi si occupa di queste cose per mestiere, e mi concentro su un augurio: che questa esperienza ci ricordi, una volta passati dall’altro lato del nostro personale Mar Rosso, che ogni momento del nostro lavoro, e della nostra vita, è un momento da non dare per scontato. Sembra una frase fatta, ma non lo è; è un augurio che si cela dietro a ogni prova di regia del sabato sera, dietro ogni lettura orchestrale in cui si devono studiare passaggi ostici, dietro tanta solitudine lontano dalla famiglia, dietro ogni volta che le chiamate giuste non arrivano.
Un abbraccio a tutti i miei colleghi, ricordando una delle mie frasi verdiane preferite, da I vespri siciliani: “Coraggio, su coraggio, del mare audaci figli! Si sprezzino i perigli; è il gemere viltà”.

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Ottavio Dantone

OTTAVIO DANTONE – In questo momento difficile tutto il mondo della cultura è accomunato dalle stesse angosce e dai dubbi per il futuro.
Ma proprio perché siamo tutti colpiti senza distinzioni da questa catastrofe, la mia speranza è che ognuno di noi faccia del suo meglio, attraverso idee, iniziative, forza d’animo e anche sacrifici, per superare questa crisi.
Questa è una sfida nella quale saremo tutti obbligati a fondere le nostre energie, perché l’arte è la nostra vita e non possiamo sopravvivere senza.
La bellezza non morirà mai, e il mondo ne ha tanto bisogno, soprattutto adesso.

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Antonino Fogliani

ANTONINO FOGLIANI – È passato più di un mese dall’ultima recita da me diretta a Firenze. È stata una bellissima produzione del Don Pasquale di Donizetti. Ricordo che la paura circolava già in maniera sorda e inquietante tra tutti noi. Sapevamo nel nostro profondo che ci sarebbe aspettato un periodo difficile e doloroso.
A distanza di un mese non si vedono garanzie di ripresa per il nostro settore. Si parla di una fase 2, una lenta riapertura delle fabbriche, un allentamento delle misure di libertà personale per i cittadini. E si sa già che i teatri e le sale da concerto saranno le ultime ad aprire. L’arte, in tutte le sue forme, ha rappresentato una medicina dell’animo in questo periodo per molte persone. Siamo stati inondati di documentari, concerti, opere liriche e spettacoli di prosa trasmessi da televisioni e siti internet. Chissà quanti dei telespettatori avranno rivolto un pensiero di solidarietà per noi artisti indipendenti, che senza garanzie economiche e spesso senza alcun guadagno dai diritti delle nostre esecuzioni, lottiamo a causa di un periodo di incertezza e desolazione. Alcuni governi sembrano avere avuto più a cuore la nostra situazione, altri, compreso quello italiano, sembrano più insensibili verso il settore.
Questo è per noi tutti il momento della riflessione. Un aiuto chiaro e rispettoso nei confronti degli artisti in difficoltà è un dovere da parte di tutti i governi. Dovremo avere un po’ di pazienza prima di tornare a fare il nostro lavoro. Ma intanto è giusto sensibilizzare l’opinione pubblica verso i liberi professionisti che in questo momento non hanno alcuna sicurezza del proprio futuro, impauriti per se stessi e per le proprie famiglie.

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Riccardo Frizza

RICCARDO FRIZZA – Il periodo storico che stiamo vivendo ci sta dimostrando (se ancora ce ne fosse bisogno) di come è importante la musica e la cultura in generale. La pandemia ha lasciato morte e lacerazione e non tutti in questo momento trovano giovamento dalla musica, soprattutto coloro e che hanno vissuto la tragedia in prima persona e che stanno ancora processando intimamente la perdita di un congiunto. Quando la cicatrice si sarà rimarginata e il momento della tragedia sarà lasciato alle spalle, giungerà il momento dove la musica e l’arte aiuteranno a curare quella più profonda: quella dell’anima.
Molti di noi, in questi tempi di clausura forzata, abbiamo riempito le nostre giornate con la musica, con un libro, un film. Se provassimo a immaginare la nostra quotidianità senza tutto ciò, ci renderemmo conto che la vita non avrebbe nessun senso. L’essenza vera della vita è quest’umanesimo che troppo spesso nella società moderna è relegato in secondo piano per lasciare spazio all’effimero, che non ha nessuna connessione con l’intimo più profondo dell’individuo e ci lascia vuoti, senza speranza per il futuro.
In questo momento di riconoscimento generale dell’arte e della cultura come fondamenta della nostra esistenza, ci si dimentica purtroppo delle persone che stanno dietro l’artista; si riconosce l’importanza di quello che creano, dimenticandosi dell’essere umano che c’è dietro. Il musicista, l’attore, il poeta, il ballerino, lo scultore dei quali ammiriamo l’opera non va dimenticato nei momenti di difficoltà. Soprattutto colui che vive di spettacolo dal vivo, in questi mesi non ha nessun introito e non rientra mai in quella categoria di persone alle quali spetta alcun tipo di sussidio.
La prospettiva per il futuro non è rosea. È molto difficile oggi prevedere le norme che regoleranno lo spettacolo dal vivo in luoghi al coperto e, soprattutto, non sappiamo come sarà possibile sostenere lo spettacolo nella maniera in cui siamo abituati a concepirlo, se il botteghino sarà due terzi inferiore. Non vorrei che gli artisti fossero coloro i quali per l’ennesima volta dovranno ridurre i loro compensi per la sostenibilità del sistema. Stiamo vedendo ancora i segni della scorsa crisi economica con molte realtà italiane che ormai pagano con oltre un anno di ritardo, in un sistema dove le spese non vengono riconosciute e le prove non vengono pagate.
Alla fine della pandemia, una volta capito come rimettere il pubblico (e quale pubblico, vista l’età media degli abbonati alle opere e ai concerti) nei teatri, credo sia dovere dello Stato iniettare quei fondi necessari per far ripartire il settore, soprattutto oggi dove anche i più scettici hanno capito l’importanza della musica e della cultura in generale.

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Sean Kelly

SEAN KELLY – Durante questo brutto periodo una cosa si è rivelata molto evidente: la gente ha bisogno dell’arte. Chiusi in casa che cosa si fa? Si legge un romanzo, si guarda un film, si ascolta della bella musica oppure si guarda un’opera lirica in tv. Gli artisti arricchiscono la vita, tutto qui! Per rilanciare il settore dopo questo incubo, dobbiamo tenerlo a mente.
Negli Stati Uniti non abbiamo ancora raggiunto il picco della crisi e, nonostante questo, i teatri stanno già pensando come uscirne vivi. Pensiamo a come spostare gli spettacoli cancellati, a rimontare le stagioni, a creare nuovi progetti per il nostro pubblico e per i nostri sostenitori, tutto online e con l’appropriato social distancing.
Dopo tutto questo la nostra principale preoccupazione sarà trovare il modo di far ripartire le nostre attività teatrali, tenendo in mente che gli stanziamenti non saranno come una volta. Come faremo a creare degli spettacoli belli e accattivanti senza spendere troppo? Come si potrà unire nuovamente il pubblico dopo la paura di stare vicini? Soprattutto, come faremo ad attirare il pubblico nel nostro mondo magico e farli uscire dalla loro quotidianità e riempire nuovamente i teatri? La risposta?: siamo artisti! E quello che facciamo ogni giorno. Affrontiamo sempre i problemi artistici e li risolviamo con creatività e disinvoltura. Con un po’ di estro e tanto olio di gomito si può fare!

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José Miguel Perez-Sierra

JOSÉ MIGUEL PÉREZ-SIERRA – In mezzo a questa pandemia che ci colpisce, e allo stato di confinamento a cui ci vediamo obbligati per cercare di fermarla, sono contento che l’arte e la cultura in tutte le sue forme (libri, musica, cinema, musei virtuali…), stiano aiutando tutti a portare avanti questa quarantena in maniera più leggera. Tanti amici, da tutto il mondo, mi chiamano o mi scrivono per commentare i vari streaming che si stanno facendo di opere dirette da me, e ne vado fiero quando mi dicono che grazie alla nostra musica, loro riescono a dimenticare tutti i problemi per un paio d’ore, a godersi una bella serata dentro a questo caos.
Bisognerebbe dire, però, che la visione che ha il pubblico sugli artisti è troppo parziale, direi troppo “glamour”. E continua ad esserlo in questi tempi difficili. Chi segue la mia carriera, il pubblico che segue i miei streaming, conosce al Maestro Pérez-Sierra, che dirige opera e concerti da 15 anni in tutto il mondo. Conosce al musicista appassionato, che fa il mestiere (forse) più bello del mondo, e che ha il privilegio di dedicare la sua vita a quello che ama: la musica. Il problema è che nessuno conosce il retro della moneta: José Miguel, il padre di famiglia, che in questo instante non ha lavoro per 3, 4, forse 6 mesi. Forse la gente non sa che i nostri contratti, quando è per forza maggiore, si cancellano senza nessun tipo di indennizzo. Io personalmente non mi lamento – se non dalla totale dimenticanza del nostro settore da parte dei politici – ma ho dei colleghi meno fortunati che vivono e vivranno penurie economiche enormi. Musicisti straordinari, fior di professionisti, che, come me, hanno consacrato la vita alla musica sin dall’infanzia, che magari avevano già un momento un po’ più debole a livello lavorativo, un anno con qualche contratto in meno o venivano da un periodo meno fortunato e si trovano ad un tratto che gli incassi si riducono a zero per tanti mesi (ricordiamoci che saremo gli ultimi professionisti che torneranno al lavoro, visto che lo svolgiamo in luoghi con grandi concentrazioni di pubblico) e che nessuno si ricorda che questo nostro settore avrebbe bisogno di qualche aiuto concreto. Così come chi guarda i nostri streaming, vede i bravi artisti che ammira, non vede un gruppo di lavoratori autonomi disoccupati e licenziati senza indennizzo, che è esattamente quello che siamo in questo momento.
Senza dubbio questa situazione finirà, speriamo presto. Ripeto, noi purtroppo saremo gli ultimi a tornare alla normalità. Ma so che riusciremo. Bisognerebbe però imparare da tutto questo, ed estrarre conclusioni. Da una parte noi artisti dovremmo essere più uniti. Mettere da parte le rivalità e la competitività e diventare un collettivo unito. Dall’altra parte i teatri dovrebbero diventare più empatici con noi, venirci incontro, capire che siamo soprattutto persone, oltre al fatto di essere artisti. I teatri e le orchestre non possono funzionare senza di noi, così come noi non possiamo funzionare senza di loro. Abbiamo un 90% di interessi comuni, e bisogna cercare di aiutarci mutuamente.
A livello politico, ora più che mai, l’interesse di rimettere in funzione teatri e orchestre dovrebbe essere massimo e prioritario. Non solo perché gli spettacoli lirici e i concerti muovono un’economia indiretta che triplica il suo costo (diversi studi lo dimostrano), ma perché la cultura è l’identità di una nazione, di un popolo… e nel caso concreto dell’opera italiana, si può dire che è la bandiera culturale dell’Italia nel mondo. Non si può lasciare cadere un patrimonio così.
Per gli artisti, sarebbe un sogno poter avere in Italia o in Spagna un regime economico come quello degli vicini francesi. È bello sapere che il nostro lavoro sta diventando un balsamo per fare scorrere più piacevolmente il confinamento, ma credo che questo sia il momento di dimostrarci se veramente siamo importanti per la nostra società, e questo si dimostra con fatti concreti. Sarebbe veramente un sogno avere gli stessi diritti economici e sociali di un professionista francese, credo che ci sia dovuto e che dobbiamo unirci per riuscire ad ottenerlo in un prossimo futuro.
E al pubblico posso solo dire una cosa: per favore restate a casa, siate prudenti. Ma quando le autorità sanitarie decideranno di riaprire i teatri: per favore, venite! Non vediamo l’ora di fare musica per voi, di nuovo. E solo la vostra presenza nelle sale può aiutarci a ricuperare la nostra vita, a sentirci ancora musicisti. Vi aspetteremo con gioia!

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Sebastiano Rolli

SEBASTIANO ROLLI – La situazione attuale, caratterizzata da un arresto forzato di tutte le attività, sta provocando effetti negativi su molti di noi e facendo precipitare i più in un abisso d’incertezza riguardo il futuro. Io non voglio minimamente nascondere i problemi che stiamo affrontando e che dovremo affrontare, ma (con la consapevolezza che il pessimismo, sebbene più che giustificato, si sta impadronendo del nostro modo di pensare, agire e programmare) voglio essere voce fuori dal coro.
Il primo pensiero è alle vittime di questa epidemia, a chi sta lavorando incessantemente per trovare soluzioni per il presente e per un domani che non dovrà sorprenderci impreparati o sfiduciati: “Se vogliamo che le cose migliorino dobbiamo pensare che possano migliorare; la scelta è fra un mondo di possibilità e un mondo di fallimenti” diceva Vittorio Foa.
Il secondo pensiero è per il presente di quanti vedono nell’inattività una sofferenza ed una menomazione. Non si possono dimenticare tutte le persone che soffrono di un isolamento e una reclusione pericolosamente insopportabile, al limite del crollo psichico. Io vivo da solo in un appartamento non tanto grande ma devo essere sincero: a me l’isolamento non pesa così come il non poter uscire per una passeggiata (sarà per la mia innata pigrizia); sono rientrato al mio domicilio dall’estero il 14 marzo, e da quel momento non sono più uscito nemmeno un minuto e il pensiero di rimanere ancora chiuso non mi prostra, ma capisco che questa non sia una vita sana, che esistano situazioni disagevoli e che non si sia tutti uguali… Io credo, peraltro, che il momento presente possa essere sfruttato al meglio: l’uomo aveva dimenticato l’importanza della “dimensione contemplativa della vita”. È giusto, indipendentemente dalle motivazioni tragiche che lo impongono, fermarsi a riflettere, prendere tempo per pensare, approfondire, rileggere la propria vita, il contesto sociale e relazionale nel quale siamo immersi, stare in silenzio. Il costruttore che prima di iniziare la torre si siede e fa i suoi conti, non perde tempo, ma ne guadagna. Il lavoro procederà così più spedito e lieto. La compagnia dei libri tanto cara alla categoria degli umanisti di cui dovremmo far parte, deve farci dialogare con i fantasmi del passato, deve indurci ad interpellare le ombre e sentire la loro voce. Da Petrarca a Montaigne, da Boccaccio a Pascal, da Ruskin a Proust, il libro è un amico fedele grazie al quale non viene interrotta quella “comunione che, pur nelle tenebre della morte, ancora intercede tra i Defunti da questa esistenza temporale e noi tuttora viventi in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta”. Diventa quindi salutare la riflessione e la compagnia di chi ci ha preceduto e che con la propria saggezza può aiutarci e fornire gli strumenti per leggere il nostro tempo e costruire quello che ci attende.
Il terzo pensiero non può che andare, quindi, al futuro… !Il Teatro è quella cosa che è in crisi da tremila anni”, ma sempre c’è e sempre ci sarà perché risponde ad un insopprimibile anelito inscritto nell’animo umano: quello alla Bellezza. I teatri riapriranno (certo saranno gli ultimi perché, oltre a presupporre assembramenti, nella nostra società non si è ancora capito che il nutrimento spirituale è importante quanto quello materiale) e le persone torneranno a riempirli con gioia rinnovata. Sarà la riproposta della nostra arte, della nostra cultura musicale, letteraria, figurativa, architettonica a farci riscoprire comunità. Sarà solo stringendoci attorno ai nostri poeti che riallacceremo quelle radici che fanno di noi il genere umano.
Vorrei proporre ai nostri politici e a quanti saranno chiamati a prendere decisioni sul futuro delle arti e mestieri che vedono nella cultura il proprio raggio d’interesse, queste parole pronunciate da Massimo Mila nel 1951: “Vogliamo soltanto stabilire, senza discuterle, certe caratteristiche di questa nostra strana e meravigliosa patria che, assai prima d’essere una realtà nelle carte geografiche e nei trattati diplomatici, e perfino nella coscienza stessa dei cittadini, viveva nell’arte di musicisti e poeti, nei colori e nelle forme della pittura, con un’evidenza incontrovertibile che non sfuggiva all’occhio lungimirante dei grandi spiriti […] E oggi l’italiano che s’interroghi, che si pieghi su se stesso per scoprire di cosa è fatta la trama di questa realtà nazionale per cui ci sentiamo come un’unità, […] ci troverà, se Dio vuole, non opaco spessore di carne o di terra, non cieco brancolare di protoplasma e di sperma, ma dappertutto la luce formata dello spirito, la trasparenza luminosa dell’arte, la forgia industre della civiltà. Troverà in sé […] le sostanze più determinanti e recenti della sua qualità d’italiano: e sarà l’umana proverbiosità di personaggi musicali rossiniani come di sentenze e massime manzoniane; e sarà la fiamma generosa della passione verdiana, la naturale dirittura di quella sua umanità equilibrata, dove la forza ingenua del sentimento non si logora in una lotta insana contro la ragione, ma al contrario ne trae conferma e alimento”. In questa consapevolezza vorrei fossero gettate le fondamenta della ricostruzione: la conoscenza di un passato che ci ha forgiati e che aspetta di rivivere eternamente sulle nostre scene, nelle nostre aule scolastiche, che invada i mezzi di comunicazione al di fuori di ogni retorica sensazionalistica da grande evento, ma con la pacata misura di una dignità che nasce dal travaglio quotidiano, umile e paziente.
Per finire: questa pandemia viene spesso paragonata ad una guerra, ma forse questo paragone prende vita soltanto dal fatto che da diverse generazioni la guerra la conosciamo attraverso la televisione… Io non so se il momento storico che stiamo vivendo sia simile a quello che i miei nonni hanno vissuto nel 1945, ma sicuramente per la nostra società è qualcosa di inedito. La terra sta forse ricominciando a respirare e ci ha ricacciati in casa per ricordarci che non ne siamo i padroni, tuttalpiù i custodi. Spero comunque che torneremo con gioia, con creatività e insopprimibile desiderio di Bellezza a rioccuparci al più presto di quella Cultura che è fatto qualitativo e non quantitativo: capacità di tradurre in esperienza di vita ciò che si è appreso negli anni e dagli eventi.
“Attraverso le povertà, le devastazioni dei cavalieri dell’Apocalisse – la guerra, la carestia, la peste… – e tutte le violenze a cui i nostri tempi non hanno nulla da invidiare, la Speranza resta l’eredità principale del medioevo”. Ecco quella che oggi credo debba essere la nostra aspirazione principale: la Speranza… quella che i grandi maestri medievali sapevano essere l’alimento irrinunciabile dell’esistenza, da Cesario di Heisterbach a Benedetto da Norcia. Quindi, come diceva un vecchio saggio parlando della ricostruzione del secondo dopoguerra: “tutte queste cose sono state affrontate con grande forza ma anche con grande serenità, senza mai perdere di vista la calma; senza mai perdere di vista che non è vero che tutto è perduto, perché puoi perdere una battaglia, ma ricominci tranquillo e ti rimetti su. Bisogna soprattutto pensare a questo: che non è vero che le cose si perdono! Le cose non si perdono! Si può avere una sconfitta ma ci si riprende, guardiamo con occhi sereni al futuro. I grandi momenti di difficoltà non devono farci perdere di vista il senso di una forza che nasce dalla calma, dalla serenità, dalla capacità di guardare gli altri con occhi fiduciosi!”.
Quindi coraggio, cominciamo a pensare assieme a come ricostruire più solido di prima ciò che troveremo distrutto. La fine dell’ultima guerra partorì uno dei momenti culturali più alti e stimolanti di tutto il novecento… perché non ripetere quella esperienza? Mai come dopo questo terribile dramma avremo bisogno di arte, bellezza, cultura… e umanità.

Leonardo_Sini
Leonardo Sini

LEONARDO SINI – Sono giorni estremamente complessi e il momento è, probabilmente, il più difficile della storia recente. Tutto il mondo si è trovato ad affrontare un nemico invisibile, veloce nella diffusione, subdolo perché più aggressivo con le categorie di persone più fragili… in questo momento dunque prospettive non ce ne sono. Ora è il momento di curare le persone, di dare supporto a chi combatte in prima linea quotidianamente. Noi siamo Artisti che devono donare serenità, gioia, passione; adesso non è il momento di pensare a queste cose, l’emergenza è ancora troppo pressante.
Sicuramente il nostro settore, come tantissimi altri, ne uscirà “in frantumi” e starà a noi raccogliere le forze e cercare di riassestarci, aggiustare ciò che è rimasto, ricostruire ciò che non è recuperabile. Non sarà semplice; non sarà veloce, non sarà indolore… ma servirà tutta la nostra pazienza, la nostra energia e il nostro entusiasmo!
In questo periodo di isolamento sto studiando molto, leggo, approfondisco la mia grande passione per gli scacchi e ho iniziato a coltivare altre curiosità, come la degustazione di vini, per cui prima mancava il tempo. Forse questa tragedia ha come unico risvolto positivo questo. Averci lasciato soli con noi stessi, per guardarci dentro, per darci l’opportunità di conoscerci meglio. Fermarsi, a volte, può essere prezioso tanto quanto l’andare avanti.