Il trovatore
Dopo sei anni di assenza, torna alla Scala di Milano Il trovatore di Giuseppe Verdi con un allestimento atipico, in coproduzione con il Festival di Salisburgo.
Nel 1947 Andre Malraux da alle stampe il suo “Musée immaginaire”, opera cardine nella storia dell’estetica del Novecento. L’idea portante, mediata da Walter Benijamin è che la riproduzione fotografica decontestualizzi l’opera d’arte e contemporaneamente le restituisca il suo valore assoluto; grazie al medium della foto sarà possibile allora creare un museo immaginario ed impossibile nella realtà. Questa sera, al Teatro alla Scala di Milano abbiamo assistito ad una operazione che per molti versi richiama il pensiero di Malraux ma, contemporaneamente, rimanda anche a Luciano Berio per il quale Trovatore era, rispetto alle altre opere di Verdi, “una faccenda più oscura, e freudiana”.
Un legame (psicanalitico?) fra i capolavori dell’arte occidentale e gli archetipi umani e sentimentali del dramma verdiano. L’allestimento scaligero viene interamente ambientato in un museo, i protagonisti sono, all’inizio del dramma, guide turistiche e assistenti museali; sarà il dialogo con i grandi quadri esposti a trasformarli progressivamente nei canonici personaggi verdiani. Le opere riprodotte in modo fotografico, e a volte con proiezioni, partono dal primo rinascimento, italiano e fiammingo, fino ad arrivare alla maniera del Cinquecento: una carrellata sui grandi nomi della storia dell’arte e sulle principali tematiche della vita dell’uomo.
Leonora è la donna-Venere ritratta da Bronzino, Lotto e Michelangelo. Manrico il giovane eroe di Raffaello, Carpaccio e Busi. Azucena la madre-Madonna di Solari, Raffaello e Piero di Cosimo. L’idea è affascinante, e funziona per buona parte dello spettacolo, anche se a volte la “notte al museo” è pericolosamente dietro l’angolo. L’allestimento perde forse di incisività e stanca un po’, nella sua ripetitività solo verso la fine dello spettacolo. La scena (a cura di Alvis Hermanis e Uta Gruber-Ballehr) usa come colore predominante il rosso, che ritroviamo anche nelle luci a cura di Gleb Filshtinsky e nei costumi, inizialmente contemporanei e poi cinquecenteschi a cura di Eva Dessecker.
La regia di Alvis Hermanis non aiuta a compensare la sensazione straniante di stacco fra il melodramma e ciò che vediamo in scena, a volte con movimenti dei personaggi discutibili. Passando al fronte musicale, spicca sicuramente il Manrico interpretato da Francesco Meli: il ritratto di un eroe romantico ed appassionato. Il suo bel timbro luminoso ben si piega alle esigenze della scrittura verdiana, l’abilità tecnica e l’uso di suggestive mezze voci rendono il fraseggio variegato e ricco di chiaroscuri. Vocalmente mostra un’ottima padronanza soprattutto del registro centrale; l’esecuzione dell’aria di terzo atto “Ah, sì ben mio,” rappresenta senza dubbio il momento piu’ alto della sua prestazione. Scenicamente si muove con eleganza e disinvoltura, disegnando un personaggio nobile, un poeta romanticamente tormentato e malinconico.
Liudmyla Monastryrska, nel ruolo di Leonora, possiede un mezzo importante dal volume sonoro e squillante specialmente nella prima ottava, buona intonazione e adeguata proiezione del suono. Le agilità sono tuttavia affrontate con prudenza, i pianissimi difettano talvolta della giusta malinconia, il fraseggio risulta un poco distaccato e avaro di sfumature. Ne consegue una lettura del personaggio tendenzialmente monocorde, una donna volitiva senza dubbio, ma priva forse di fiera nobilità e di quella dimensione poetica prevista dall’autore.Violeta Urmana ripropone la “sua” Azucena, a distanza di 20 anni dalla celebrata produzione scaligera diretta di Riccardo Muti.
Artista di innata classe, dimostra piena padronanza del ruolo e, grazie anche ad una vocalità dal colore chiaro, tratteggia un personaggio moderno che rifugge da una certa incolore tradizione. Il fraseggio è cesellato e partecipe, la linea vocale appare ancora salda soprattutto nel registro centrale e non gutturale in quello di petto. Qualche affaticamento nel registro acuto, non inficia una prestazione di buon livello.Il ruolo del Conte di Luna è affidato a Massimo Cavalletti e spiace constatare una prestazione non completamente riuscita. La voce è bella e la prova riesce bene nei momenti più belcantistici – ad esempio l’aria e la cabaletta di secondo atto – ma spesso si percepisce una sensazione di generale sforzo nel gestire una linea di canto che non riesce a corrispondere sempre nel migliore dei modi alla scrittura verdiana.
Non completamente a fuoco, poi, il Ferrando di Gianluca Buratto che, pur dotato di un mezzo dal bel colore ambrato, mostra un’intonazione perfettibile nella salita verso l’acuto.Sul podio, Nicola Luisotti presta una lettura integrale della partitura, asciutta e vigorosa, caratterizzata sovente da tempi serrati in alternanza, talvolta, ad alcuni rallentando che sembrano quasi sospendere per un momento la tensione emotiva sulla scena. L’Orchestra del Teatro alla Scala crea un suono smaltato e, seguendo le indicazioni del Maestro, mantiene un buon equilibrio sonoro pur tendendo a crescere nei volumi soprattutto per le chiuse d’atto.Ottimo come di consueto il Coro del Teatro alla Scala diretto con grande maestria dal Maestro Bruno Casoni.Completano la locandina, dalle schiere dell’Accademia del Teatro alla Scala, Caterina Piva, una Ines corretta dotata di bel timbro, Taras Prysiazhniuk, un Ruiz ben riuscito, Giorgi Lomiseli e Hun Kim nei rispettivi ruoli di uno zingaro e un messo.Applausi di cortesia al termine della recita da parte di un pubblico che lascia la sala in pochi minuti.
Locandina
Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2019/2020 | |
IL TROVATORE | |
Dramma in quattro atti Libretto di Salvatore Cammarano Musica di Giuseppe Verdi | |
Personaggi: | Interpreti: |
Il Conte di Luna | Massimo Cavalletti |
Leonora | Liudmyla Monastyrska |
Azucena | Violeta Urmana |
Manrico | Francesco Meli |
Ferrando | Gianluca Buratto |
Ines | Caterina Piva |
Ruiz | Taras Prysiazhniuk |
Un vecchio zingaro | Giorgi Lomiseli |
Un Messo | Hun Kim |
Orchestra del Teatro alla Scala Coro del Teatro alla ScalaMaestro del Coro: Bruno Casoni | |
Direttore | Nicola Luisotti |
Regia | Alvis Hermanis |
Scene | Alvis Hermanis Uta Gruber-Ballehr |
Costumi | Eva Dessecker |
Luci | Gleb Filshtinsky |
Allestimento del Teatro alla Scala in coproduzione con Salzburger Festspiele |
FOTO DI BRESCIA/AMISANO – TEATRO ALLA SCALA