L’Heure espagnole – Gianni Schicchi
L’inedito dittico composto da L’Heure espagnole di Maurice Ravel, e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, chiude la stagione d’opera 2019-2020 del Teatro Ponchielli di Cremona.
L’Heure espagnole di Maurice Ravel, è una breve commedia musicale per cinque voci soliste e orchestra scritta fra il 1907 ed il 1909 e rappresentata per la prima volta nel 1911 all’Opéra-Comique di Parigi. Gianni Schicchi è un’opera comica in un atto, appartenente al Trittico pucciniano, scritta tra il 1917 e il 1918 e messa in scena nel 1918 al Metropolitan Opera House di New York.Cosa unisce queste due opere? Stando alle parole del regista Carmelo Rifici, il legante è la capacità di mettere in ridicolo l’istituzione borghese per antonomasia del 1900: la famiglia, intesa come matrimonio per Ravel e come gruppo di parenti per Puccini. A livello musicale, inoltre, i due autori sono stati spesso accomunati dalla critica che ha letto una reciproca influenza nella loro scrittura musicale. Se spesso si ravvisano nelle opere del maestro toscano rimandi alla scrittura del compositore francese, è da segnalare anche che le cronache riportano un interessante episodio: lo spartito che Ravel indicava come esemplare ai suoi allievi era “La fanciulla del West”, opera di Giacomo Puccini del 1910. Giusta quindi l’idea di unire questi due importanti artisti del secolo breve.
Lo spettacolo si apre con L’Heure espagnole: ci troviamo in una grande stanza vuota (scene curate da Guido Buganza), alle pareti numeri, rimando ai tanti orologi della bottega di Torquemada, al centro una colossale clessidra ricorda l’inarrestabile scorrere del tempo. Le avventure di Conception (moglie di Torquemada) e dei suoi amanti trovano collocazione in una dimensione sospesa ed onirica. I personaggi hanno le fattezze di automi meccanici, ingabbiati in rigidi costumi a cura di Margherita Baldoni. Nell’intenzione del regista i movimenti sono passi di una danza amorosa che non sfocia mai in un conclamato erotismo. Gli oggetti di scena calano dall’alto comparendo e scomparendo con una certa eleganza, le pareti nei momenti più concitati si animano con tanti colorati meccanismi a cucù. Un risultato piacevole, un colpo d’occhio appagato anche grazie al buon uso delle luci di Valerio Tiberi. Antoinette Dennefeld interpreta una credibile Conception: disinvolta in scena, accurata nel fraseggio e sicura nel controllo del mezzo caratterizzato da un bel colore ambrato e da un buon volume.Didier Pieri risulta un convincente Gonzalve grazie ad un timbro suadente e ad una perfetta immedesimazione scenica. Riuscita anche l’interpretazione di Andrea Concetti nel ruolo di Don Inigo Gomez: il cantante coniuga un buon controllo del mezzo ad una divertente lettura del personaggio.Completano il cast Valdis Jansons -Ramiro-, e Jean François Novelli -Torquemada-, entrambi a loro agio nei rispettivi personaggi ben caratterizzati anche sotto il profilo vocale.
Dopo un breve intervallo, la serata prosegue con la rappresentazione di Gianni Schicchi. Questa volta Carmelo Rifici ambienta la vicenda all’interno di un cinema, trasportando la narrazione nella Firenze degli anni settanta del Novecento. Sulla scena, sempre a cura di Guido Buganza, pochi elementi: alcune sedioline in legno che i vari parenti spostano in continuazione a seconda delle esigenze del momento, e il bancone del bar del cinematografo dove alcuni personaggi (su tutti Nella) trovano un alcolico conforto alla notizia della mancata eredità. Ben visibili i manifesti di storiche commedie all’italiana, come “C’eravamo tanto amati”, che stabiliscono un ideale collegamento con la capacità e la voglia di ridere da sempre tipica del Bel Paese. Sullo sfondo una pedana provvista di luci di proscenio, sovrastata da un grande schermo sul quale vengono proiettate le immagini di scene che hanno luogo idealmente dietro le quinte, ottenendo così l’effetto di ampliare la profondità del palcoscenico, e di rendere più dinamica la narrazione. Ci vengono così mostrati, a guisa di ironica commedia all’italiana i congiunti nella camera mortuaria di Buoso prima nel momento del finto compianto e ,successivamente, in quello dell’apertura del testamento, scorrono poi suggestive immagini di Firenze, per chiudere poi con la scena dei parenti cacciati da Schicchi e la cinematografica scritta Fine. Efficaci i costumi che seguono la moda anni 70 a firma di Margherita Baldoni, giocati sopratutto sulle tinte pastello, con rimandi al simbolo del giglio fiorentino. L’intera compagnia di canto mostra una perfetta immedesimazione nei rispettivi personaggi e un’ottima coesione scenica complessiva.Sergio Vitale interpreta Gianni Schicchi prediligendo una linea vocale elegante e che rifugge da facili e scontati “gigionismi”. La sua prestazione risulta di buon livello grazie ad un mezzo sicuro e adeguatamente controllato anche nel registro acuto. La coppia dei giovani innamorati è composta da Lavinia Bini -Lauretta- e Pietro Adaini -Rinuccio-, che ben si destreggiano nelle celebri arie “O mio babbino caro” e “Firenze è come un albero fiorito” grazie alle rispettive vocalità accumunate da freschezza, omogeneità complessiva e brillantezza nel registro acuto. Lo stuolo dei parenti del povero Buoso è capitanato da Agostina Smimmero, una Zita scenicamente convincente e vocalmente ben riuscita grazie ad un mezzo dal suggestivo colore scuro e ad una buona intonazione. Ritroviamo Didier Pieri come Gherardo, Andrea Concetti nel ruolo di Betti di Signa e Valdis Jansons come Marco che confermano le buone qualità vocali emerse nella precedente opera di Ravel oltre ad un’interpretazione scenica assolutamente godibile. Marta Calcaterra è Nella e disegna un personaggio ironico, un omaggio alla Signorina Snob di Franca Valeri, che si muove con disinvoltura ed elegante ironia. Vocalmente brillante e musicale esegue con facilità e sicurezza gli interventi a lei riservati.Cecilia Bernini dona alla Cesca una caratterizzazione spiritosa e ben azzeccata con una vocalità fresca e adeguatamente controllata.L’elenco dei parenti si completa con il Simone di Mario Luperi, ben tratteggiato sia vocalmente che scenicamente. Completano la locandina Nicolò Ceriani, nel duplice ruolo di Maestro Spinelloccio e Messer Amantio di Nicolao, ironico il primo e solenne il secondo, i bravi Zabulon Salvi, Pinellino, Marco Tomasoni, Guccio e il simpatico Giorgio Marini nel ruolo di Gherardino.
Sul podio il Maestro Sergio Alapont che imprime una lettura tendenzialmente espressionista ad entrambe le partiture ricercando una coesione tra buca e palcoscenico non sempre inappuntabile e optando talvolta per tempi alquanto dilatati. Gli va comunque riconosciuto il merito di ottenere un bel suono dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali che risulta in buona forma pur con qualche incertezza nella sezione dei fiati.Il pubblico in sala, non particolarmente numeroso, premia questa serata conclusiva della stagione d’opera con caldi consensi, più accesi per il più orecchiabile atto pucciniano.
Teatro Ponchielli di Cremona – Stagione 2019
L’HEURE ESPAGNOLE
Commedia musicale per cinque voci soliste e orchestra
Libretto di Franc-Nohain
Musica di Maurice Ravel
Concepción Antoinette Dennefeld
Gonzalve Didier Pieri
Ramiro Valdis Jansons
Don Inigo Gomez Andrea Concetti
Torquemada Jean-François Novelli
GIANNI SCHICCHI
Opera comica in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Gianni Schicchi Sergio Vitale
Lauretta Serena Gamberoni
Zita Agostina Smimmero
Rinuccio Pietro Adaini
Gherardo Didier Pieri
Nella Marta Calcaterra
Betto di Signa Andrea Concetti
Simone Mario Luperi
Marco Valdis Jansons
La Ciesca Cecilia Bernini
Maestro Spinelloccio/ Messer Amantio di Nicolao Nicolò Ceriani
Pinellino Zabulon Salvi
Guccio Marco Tomasoni
Gherardino Giorgio Marini
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Direttore Sergio Alapont
Regia Carmelo Rifici
Scene Guido Buganza
Costumi Margherita Baldoni
Luci Valerio Tiberi
Nuovo allestimento dei Teatri di OperaLombardia
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
FOTO PER GENTILE CONCESSIONE DEL TEATRO PONCHIELLI DI CREMONA